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234 il mercante di venezia

sua noia. Ma Dio ti faccia prosperare; tieni, ecco un ducato per te. A cena, Lancilotto, vedrai Lorenzo che è ospite del tuo nuovo signore. Dagli questa lettera segretamente; addio, non vorrei che mio padre mi trovasse a parlar teco.

Lan. Addio! le mie lagrime parlino per me, bellissima pagana dolcissima giudea! Se un cristiano non si dannasse per possederti, vuo’ non esser più io se non ti volessi. Ma addio; queste sciocche lagrime annegano un poco i miei spiriti maschili; addio.     (esce)

Ges. Addio, buon Lancilotto. — Oimè! di qual odioso peccato io mi rendo rea, vergognandomi di esser figlia di mio padre! Ma sebbene io sia sua figlia per sangue, non lo sono per modi. Oh! Lorenzo, se tu attieni la tua promessa, questa contesa finirà, e io diverrò cristiana, e tua tenera sposa.     (esce)

SCENA IV.

La stessa. — Una strada.

Entrano Graziano, Lorenzo, Salarino e Salanio.

Lor. Sì, noi fuggiremo durante la cena; andremo a travestirci a casa mia, e ritorneremo tutti fra un’ora.

Graz. Ma a ciò non siamo ben apparecchiati.

Salar. Non abbiamo parlato ancora coi portatori delle torcie.

Sal. È una cosa inutile, ed è meglio il non pensarci.

Lor. Non son per anche le quattro: ci rimangono due ore per ammannirci. (entra Lancilotto con una lettera) Amico Lancilotto, quali novelle rechi?

Lan. Se vi piace rompere questo suggello lo saprete.

Lor. Conosco la mano: in verità è una bella mano più bianca ancora della carta che ha adoperato.

Graz. Novelle d’amore, giuro.

Lan. Con vostra licenza, signori.

Lor. Dove vai?

Lan. A dire al mio vecchio padrone ebreo, di venire a cena col mio nuovo padrone cristiano.

Lor. Ascolta; di’ alla gentil Gessica, che non le mancherò; diglielo segretamente. (Lan. esce) Signori, volete apparecchiarvi per questa mascherata notturna? Son provveduto di un portatore di torcie.

Salar. Ebbene vo’ a mettermi in ordine.

Sal. Così fo’ anch’io.