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212 | tito andronico |
attestare la verità di quanto vi espongo. Giudicate adesso quanta ragione avesse Tito di vendicarsi di tali oltraggi al disopra di tuttociò che l’uomo può sopportare. Ora che sapete la verità, che dite voi, Romani? Commettemmo noi nulla d’ingiusto? Fateci vedere il nostro delitto, e dal posto elevato in cui stiamo entrambi uniti ci precipiteremo per distruggere tutto quello che rimane della sventurata schiatta d’Andronico, per infrangere i nostri capi sopra le selci della via ed estinguere con un colpo solo la nostra casa. Parlate, Romani, parlate, e ad un cenno vostro, colle mani allacciate insieme, Lucio ed io di qui ci avventeremo.
Em. Vieni, vieni, illustre cittadino di Roma, e conducine per mano il nostro imperatore Lucio, perocchè stommi certo che tale lo grideranno tutti gli amici di questa città.
Molti romani. Salute, Lucio! augusto imperatore di Roma!
(Lucio, ecc. discendono)
Mar. (ad uno del seguito) Va nella dolorosa casa dell’estinto Tito, e trascina qui l’empio Moro, onde inflitta gli sia qualche morte crudele per castigo della sua nefanda vita.
Molti Romani. Salute, Lucio! grazioso signor di Roma!
Luc. Grazie, gentili Romani, e possa io reggere l’impero in guisa da sanarne le piaghe, e da cancellarvi ogni memoria dei mali passati! Ma, buon popolo, concedetemi alcuni istanti, perocchè la natura m’impone un ufficio assai doloroso. Ritiratevi a parte: e voi, caro zio, avvicinatevi per isparger funebri lagrime su questo venerando estinto. — Ah! ricevi questo bacio ardente sulle tue labbra pallide e fredde. (baciando Tito) Ricevi questa pioggia di dolore sul tuo volto insanguinato; è il tristo ed ultimo tributo d’amore del figlio tuo!
Mar. Lagrime per lagrime e baci per baci ti dà il tuo fratello Marco e sopra le labbra. Oh! fosse infinita, innumerevole la somma di quelli ch’io avessi a pagarti, e saprei sdebitarmene.
Luc. (a suo figlio) Avvicinati, fanciullo; impara da noi come si piange. Il tuo avolo ti amava teneramente; mille volte ei ti cullò sulle sue ginocchia; e dolcemente ti fe’ addormentare sopra il suo petto; mille volte ei ti disse parole benevoli, e tali che la tua tenera infanzia potesse intenderle. Per riconoscenza, da buono e sensibile fanciullo spargi alcuni pianti per tributo alla natura che li chiede; avvegnachè gli amici si uniscono agli amici nelle pene; porgigli i tuoi ultimi addii; accompagnalo al sepolcro; compi questo pio ufficio; e accomiatati da lui.
Il fanciullo. Oh! mio avolo, mio avolo! Con tutto il cuore