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atto quinto 209


SCENA III.

La stessa. — Una tenda con tavole, ecc.

Entrano Lucio, Marco e Goti con Aaron prigioniero.

Luc. Zio Marco; poichè tale è il volere di mio padre, entrerò in Roma.

Goto. E il nostro volere è il tuo, quali che ne siano le conseguenze.

Luc. Buon zio, provvedete voi a questo barbaro Moro, a questo tigre famelico, a questo empio demonio; non gli sia dato alcun alimento, e rimanga incatenato fino a che lo si conduca dinanzi all’imperatrice per rendervi testimonianza di tutti i di lei orribili misfatti. Badate ancora che i nostri amici siano forti e celati: temo che l’imperatore non mediti la nostra perdita.

Aar. Qualche demonio mormora le sue maledizioni al mio orecchio, ed eccita la mia lingua ad esalare tutto il veleno di cui il mio cuore trabocca.

Luc. Lungi di qui, mostro! scellerato inumano! Amici, aiutate mio zio a condurlo lungi. (escono alcuni Goti con Aaron. Squillo di trombe) Le trombe ci annunziano che l’imperatore è vicino.

(entrano Saturnino e Tamora con Tribuni, Senatori ed altri)

Sat. Ha dunque il firmamento più di un sole?

Luc. A che ti vale il chiamarti sole?

Mar. Imperatore di Roma, e tu, nipote, favellate insieme. Questa contesa deve essere placidamente trattata. Il banchetto che il provvido Tito ha ordinato per inaugurare la pace e impedire ogni danno a Roma è già pronto. Vogliate dunque appressarvi e prendere i vostri seggi.

Sat. Così faremo, Marco.

(squilli di cornamuse. Tutti si assidono alle varie mense; entra Tito vestito da cuoco, Lavinia velata, il fanciullo Lucio ed altri. Tito pone i piatti sopra la tavola)

Tit. Siate il ben giunto, mio grazioso signore: e voi pure temuta regina; e voi anche, guerrieri Goti; e tu così, mio Lucio: siate i benvenuti tutti. Sebbene il banchetto sia poco splendido, esso basterà a saziarvi. Incominciate.

Sat. Perchè ti sei così vestito, Andronico?

Tit. Perchè voleva assicurarmi da me che tutto fosse a dovere, per festeggiare Vostra Altezza e questa degna imperatrice.