Pagina:Rusconi - Teatro completo di Shakspeare, 1858, III-IV.djvu/218


atto quinto 207

buon Andronico, far chiamar Lucio, il tuo prode figlio, che conduce verso Roma un esercito tremendo di Goti, e invitarlo a venire ad un banchetto nel tuo palagio, allorchè ei qui fosse, a metà della festa condurrei l’imperatrice, i suoi figli, l’imperatore e tutti i tuoi nemici, che si umilierebbero a grado tuo dinanzi a te, e tu in essi potresti disfogare il tuo cuore sdegnato. Che dice Andronico di tal proposta?

Tit. Marco, fratello! È il mesto Tito che ti chiama. (entra Marco) Va, gentil Marco, dal tuo nipote Lucio, che troverai fra i Goti, e digli di venirne da suo padre adducendo seco i principali del suo esercito; digli di far accampare i soldati dove stanno ora, e che l’imperatore e l’imperatrice verranno ad una festa in mia casa che egli dividerà con essi. Fa ciò per l’amicizia che senti di me, e tieni modo perch’egli si arrenda al mio desiderio, se vero è che abbia in cale gli ultimi giorni del canuto suo padre.

Mar. Questo farò, e ritornerò fra breve.     (esce)

Tam. Ora ti lascio per attendere alle tue cose, e conduco meco i miei due ministri.

Tit. No, no, fa che lo Stupro e l’Omicidio rimangano con me, o altrimenti richiamo mio fratello, e non cerco altra vendetta che colle armi di Lucio.

Tam. (a parte) Che ne dite, miei figli? Volete rimanere mentre io vado ad istruire l’imperatore del modo con cui ho ordinato il nostro disegno? Cedete alla sua bizzarrìa, piaggiatelo, carezzatelo, e restatevi con lui fin ch’io ritorni.

Tit. (a parte) Io ben li conosco tutti, quantunque mi reputino insensato, e avvolgerò nella loro stessa trama quella muta di cani infernali, e la loro detestabile madre.

Dem. Signora, partitevi a vostro senno, e lasciateci qui.

Tam. Addio, Andronico: la Vendetta va a meditare per sorprendere i tuoi nemici.

Tit. So a che cosa attenderai; dolce Vendetta, addio.

(Tam. esce)

Chir. Dinne, vecchiardo, in quale ufficio ne vuoi porre?

Tit. Di ciò non vi calga; avrete da fare assai. — Publio, Caio, Valentino, venite qui.     (entrano Publio ed altri)

Pub. Che cosa volete?

Tit. Conoscete questi due?

Pub. Sono i figli dell’imperatrice, Chirone e Demetrio.

Tit. Errore, Publio, errore! stranamente t’inganni. Uno è l’Omicidio e l’altro lo Stupro; perciò incatenateli, buon Publio; Caio e Valentino, mettete sopr’essi le mani. Sovente m’avete