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204 | tito andronico |
una capanna per dir poscia al proprietario di estinguerne il fuoco col pianto, e non ho dissotterrati i morti per portarli vicino alle case dei loro amici più teneri, quando il loro dolore era quasi passato, incidendo sui cadaveri col mio coltello in lettere romane, come sulla scorza degli alberi; «non muoia il vostro dolore sebbene io sia morto». Io ho compiuto mille delitti colla lietezza con cui ogni altro ucciderebbe un insetto; e nulla più contrista il mio cuore, che il pensare che non ne potrò altri commettere.
Luc. Fate discendere questo demonio; l’appenderlo sarebbe pena troppo dolce.
Aar. Se esistono demonii, vorrei esserne uno per vivere e bruciare fra eterne fiamme, purchè soltanto avessi la tua compagnia all’inferno e potessi cruciarti a mio libito colle mie imprecazioni.
Luc. Soldati, chiudetegli la bocca, e non lo si oda più.
(entra un Goto)
Il Goto. Signore, vi è un messaggiere di Roma che desidera di venire alla vostra presenza.
Luc. Venga. — (entra Emilio) Ben giunto, Emilio; quali novelle di Roma?
Em. Lucio, e voi principi dei Goti, l’imperatore saluta colla mia voce, e avendo assaputo che incedete colle armi alla mano, chiede un colloquio con voi, nella casa di vostro padre. Potete eleggere gli ostaggi che vi saran dati tosto.
1° Goto. Che dice il nostro generale?
Luc. Emilio, l’imperatore dia gli statichi a mio padre e a mio zio Marco, e noi andremo da lui. — Innoltrate. (escono)
SCENA II.
Roma. — Dinanzi alla casa di Tito.
Entrano Tamora, Chirone e Demetrio travestiti.
Tam. È con questo strano abbigliamento ch’io mi presenterò ad Andronico, e gli dirò che sono la Vendetta mandata dal fondo degli abissi per unirmi a lui, e punire i suoi crudeli oppressori. Battete a quella stanza, in cui dicesi ch’egli si soglia chiudere per meditare le più crudeli rappresaglie. Ditegli che la Vendetta è giunta per sussidiarlo nell’esterminio de’ suoi nemici.
(battono; Tito si fa vedere al disopra)