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atto quarto | 199 |
condannò a morire per l’omicidio del fratel nostro, fossero stati uccisi ingiustamente per un mio ordine folle. Escite, trascinate qui pei capelli quel malandrino, a cui nè l’età, nè i passati servigi saran di scudo. Per sì audace insulto vuo’ essere io stesso l’uccisore di quel furioso che mi fu sgabello al trono, nella speranza di governar quindi Roma e me. (entra Emilio) Quali novelle, Emilio?
Em. All’armi, all’armi, signore! Roma non mai ebbe maggior motivo di temere! I Goti han radunato un esercito, e con schiere di soldati coraggiosi e avidi di bottino vengono a gran giornate verso Roma, sotto la condotta di Lucio, figlio del vecchio Andronico, che minaccia di imitare Coriolano nel corso delle sue vendette.
Sat. Il tremendo Lucio è generale dei Goti? Tale novella mi agghiaccia di spavento e mi fa piegar il capo, come i fior sorpresi dal gelo, o l’erbe battute dalla tempesta. Ah! è ora che le nostre sventure comincieranno; quel Lucio è l’amore del popolo, ed io stesso quando travestito mi confondevo fra la folla udivo spesso dire che il di lui bando era ingiusto, e che egli meritava di essere imperatore.
Tam. Perchè tremereste? la nostra città non è forse atta alle difese?
Sat. Sì, ma i cittadini amano Lucio, e diserteranno le mie insegne per unirsi a lui.
Tam. Re, abbiate i sentimenti dei re, come ne avete i titoli. Il sole è egli ecclissato dagli atomi che ingombrano i suoi raggi? L’aquila permette ai deboli uccelli un vano canto, nè le cale di quello a cui esso accenna, certa di potere coll’ombra delle sue ali far tacere a suo grado i suoni delle loro voci. Voi saprete del pari impor silenzio al popolo insensato. Rinfrancatevi, caro principe, e pensate ch’io saprò allettare il vecchio Andronico con parole dolci, ma più perigliose che non lo è l’esca che seduce il pesce, e il miele della pianta fiorita, delizia della pecorella; per cui l’uno muore trafitto dall’amo, l’altra avvelenata da un pascolo caro.
Sat. Ma egli non vorrà pregare suo figlio per noi.
Tam. Se Tamora ne lo richiede, lo vorrà; perocchè io saprò lusingare la sua vecchiezza, e assopirla fra splendide promesse; e quand’anche il suo cuore fosse insensibile, e il suo orecchio sordo, il suo cuore e il suo orecchio obbedirebbero ai prestigi della mia lingua. Va, Emilio, precedine, e sii nostro ambasciatore. Di’ che l’imperatore chiede una conferenza col prode