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190 | tito andronico |
Tit. ....... Magne Dominator poli,
Tam lentus audis scelera? tam lentus vides?
Mar. Calmati, caro Tito, sebbene io affermi che vi è abbastanza di scritto sopra questa sabbia per commuovere e fare sdegnare le anime più miti, per armar di furore il cuore della fanciullezza stessa. Signore, inginocchiatevi con me; Lavinia, genufletti, e tu pure, fanciullo, speranza dell’Ettore di Roma, e giurate tutti meco, come altra volta giurò Giunio Bruto per la violazione di Lucrezia, collo sposo desolato, e il padre di quell’oltraggiata e virtuosa donna; giurate che intenderemo con tutti i mezzi a trarre una vendetta mortale di questi Goti traditori, e che vedremo scorrere il loro sangue, o morremo per tale ingiuria.
Tit. Non è mestieri di giuramenti; è il mezzo che è mal sicuro. Se offendete i nati del leone statevi ben cauti, perchè la loro madre si risveglierà; e se ella vi ha in sospetto una volta sola pensate che strettamente collegata è col leone che culla ed addormenta sopra il suo seno, e che durante il suo sonno può fare quanto le piace. Voi siete un giovine cacciatore, Marco, e senza esperienza: obbliamo tale idea; che ne dici tu, fanciullo?
Il fanciullo. Io dico, signore, che se un uomo fossi, la camera dove dorme la madre loro non sarebbe un asilo sicuro per quegli scellerati, schiavi del giogo romano.
Mar. A tali parole riconosco il fanciullo mio! Il tuo padre ha spesso così operato per questa ingrata patria.
Il fanciullo. Ed io pure lo farò, se vivo.
Tit. Vieni, vieni con me nella mia armeria; io ti vestirò, e quindi porterai ai figli dell’imperatrice i doni che mi propongo di inviar loro. Vieni; non recherai tu tale messaggio?
Il fanciullo. Sì anche col mio pugnale nel loro cuore.
Tit. No, no; t’insegnerò altre cose. Andiamo, Lavinia; Marco, attendi alla casa; io e Lucio procederemo alla corte per vedere quale accoglienza ci verrà fatta. (escono tutti, tranne Marco)
Mar. Cielo, puoi tu udire i gemiti di un uomo onesto, e non intenerirti, e non commiserare a’ suoi mali? Marco, segui nel suo furore quello sfortunato; il dolore ha fatto al suo cuore più ferite, che i colpi del nemico fatti non ne abbiano sul suo logoro scudo; e nondimeno giusto è pur tanto, che non vuole vendicarsi. Assumi tu dunque, Cielo, le vendette del vecchio Andronico. (esce)