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atto terzo | 185 |
allontanati dalla mia vista; bandito tu sei, e qui più non devi restare; corri verso i Goti, e leva fra essi un grande esercito; e se mi ami, come penso, abbracciamoci e separiamoci, perocchè molte cose ci rimangono da fare. (esce con Mar. e Lav.)
Luc. Addio, Andronico, mio nobile padre; uomo il più misero che mai vivesse in Roma! Addio, superba Roma. Lucio lascia qui fino al suo ritorno pegni più cari della sua vita. Addio, Lavinia, mia virtuosa sorella; ah! perchè non sei tu ancora quella che un tempo fosti? Ma ora Lucio e Lavinia non esistono più che nell’obblio, e in un fondo di dolori insopportabili. Se Lucio vive, egli vendicherà i vostri oltraggi, e costringerà il superbo Saturnino e la sua regina crudele a chieder grazia alle porte di Roma, come altra volta Tarquinio e la donna sua. Presso i Goti io ne andrò per radunarvi un esercito, che mi vendicherà di Roma e del suo nefando imperatore. (esce)
SCENA II.
Una stanza nella casa di Tito.
È apprestato un banchetto; entrano Tito, Marco, Lavinia e il fanciullo Lucio.
Tit. Sì, sì; ora assidiamoci e pensate a non prendere altro alimento, che quello che è necessario per conservare in noi bastanti forze, onde vendicar gli spaventosi mali che ci opprimono. Marco, sciogli il nodo dei tuoi tristi abbracciamenti; la tua nipote ed io, sfortunata creatura, siam privi delle nostre mani, e alleviar non possiamo il nostro dolore stringendoti al petto. Questa povera mano che mi resta non mi è lasciata che per maggior tormento; e quando il mio cuore forsennato batte con violenza in questa prigione di carne, con essa a gran colpi lo reprimo. — Tu, imagine (a Lav.) di indicibili guai, che con cenni mi parli, tu non puoi, quando il tuo cuore raddoppia i suoi palpiti, calmarlo come me. Incitalo dunque, figlia mia, coi sospiri; frangilo a forza di singulti; o stringi fra i denti qualche acuto ferro, e immergilo direttamente in esso, onde tutte le lagrime che sgorgano dai tuoi poveri occhi cadano entro la ferita, per annegarvi in un mare di pianto quell’insensato che si lamenta.
Mar. Via, fratello, via; non insegnare alla figlia tua a rivolgere sopra di sè mani omicide.
Tit. Oh! il dolore ti fa egli traviare? Marco, non è che a me che appartenga di essere insensato. Qual mano omicida può essa