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atto terzo 183


Aar. (a parte) Se codesto si chiama ingannare, io sarò onesto, e non mai ingannerò gli uomini finchè vivrò. Ma in un altro modo io t’ingannerò, e lo vedrai prima che sia trascorsa una mezz’ora.

(taglia la mano a Tito; entrano Lucio e Marco)

Tit. Ora cessate dalle contese; quello che si era da farsi fu fatto. Buon Aaron, va a dar la mia mano all’imperatore, e digli che fu essa che lo protesse contro mille pericoli: esortalo a seppellirla degnamente, che ben lo ha meritato; fa che da lui ottenga almeno tal grazia. Quanto ai miei figli, digli che son due tesori racquistati da me con poca spesa, ed anche a niun caro prezzo racquistati, perocchè mi appartenevano.

Aar. Parto, Andronico; e pel sagrificio della tua mano apprestati fra breve a vedere i tuoi figli (a parte), io intendo le loro teste. Oh come tale scelleratezza mi empie di gioia! Gl’insensati facciano il bene, e gli uomini belli cerchino di piacere. Aaron vuole avere un’anima nera come il suo volto.     (esce)

Tit. Alzo verso il cielo questa mano che mi rimane, e fino a terra piego questo debole corpo. Se vi è qualche Divinità che commiseri alle lagrime degli sfortunati, essa io imploro. — Vuoi tu inginocchiarti con me? (a Lav.) Fallo, dolce anima, il Cielo udirà le nostre preghiere; o noi oscureremo il firmamento col vapore dei nostri sospiri, e avvolgeremo di nebbia la faccia del sole, come fan talvolta le nubi allorchè quello avviluppano nel loro seno piovoso.

Mar. Oh fratello! parla con senno e non venirne a tali estremi.

Tit. Non è il mio dolore un abisso senza fondo? e non debbono i miei sentimenti conformarvisi?

Mar. Ma fa che la ragione governi il tuo dolore.

Tit. Se ragione vi fosse per isventure siffatte usar ne saprei: ma allorchè il cielo piange, la terra non è sommersa sotto l’acqua? Se i venti inferociscono, il mare non divien furioso, e non minaccia d’innalzar fino alle stelle il volume delle sue onde? E vuoi tu porre in opera la ragione per sì tremendo disordine? Io sono il mare; odi come i sospiri della figlia mia si esalano con violenza! Ella è il cielo che piange, ed io la terra; quindi conviene che commosso rimanga dai suoi sospiri, che inondato sia dalle sue lagrime, che sommerso ne vada come per un diluvio. Le mie viscere non possono contenere la mia disperazione, e come un’ebbro forza è ch’io la spanda. Lasciami dunque abbandonarmi liberamente ai miei affanni; perocchè quegli che perde deve potere ricreare colle bestemmie l’oppresso suo cuore.

(entra un messaggiere portante due teste e una mano)