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atto terzo 181

fatto più male che se ucciso mi avesse. Ora sono come un uomo sopra uno scoglio, ricinto da un vasto mare, che vede crescere il flusso, ed ogni onda vieppiù avanzarsi, aspettando il momento in cui la marea nemica l’inghiottirà. È per questa via che i miei due figli andarono a morte; questi è l’altro mio figlio condannato all’esilio; e questi è il mio fratello che si lagna delle sue sventure; ma di tutti i miei mali quello che più mi abbatte e mi riduce in termine di vita è la sventura della mia Lavinia, più cara a me della mia anima. — La vista sola del tuo ritratto in tale stato sarebbe bastata a rendermi demente; che diverrò io mentre ti veggo così in persona? Tu non hai più mani per asciugare le tue lagrime, nè lingua per nominare il crudele che ti ha oltraggiata. Il tuo sposo è morto, e i tuoi fratelli per la morte di lui furono condannati, e sono ora estinti. — Mira, Marco!... Lucio, mio figlio, mirala!... Allorchè nominai i suoi fratelli nuovi pianti sgorgarono sulle sue gote, come una dolce rugiada sopra un giglio raccolto e di già avvizzito.

Mar. Forse piang’ella perchè essi le uccisero lo sposo: forse pure perchè li sa innocenti della sua morte.

Tit. Se essi furono che ti uccisero lo sposo, addimostra la tua gioia, sapendo che la legge ha vendicata la di lui uccisione. — No, no, i tuoi fratelli non han commesso delitto sì atroce, il tuo dolore ne è testimonio. — Amabile Lavinia, lascia ch’io baci le tue labbra, o fammi comprendere con qualche cenno in qual guisa potrei consolarti. Vuoi tu che insieme col tuo nobile zio e col tuo fratello Lucio, andiamo tutti ad assidersi presso qualche fonte per tenervi gli occhi rivolti verso l’onda e contemplarvi i nostri volti inondati dalle amare nostre lagrime, simili a’ prati che asciutti ancora non sono della rugiada che la notte vi ha sparso? Ovvero ami che ci tagliam le mani, come tagliate ti furono le tue, o che ci recidiamo la lingua coi denti, e trascorriamo con muti gesti l’avanzo dei nostri nefandi giorni? Che desideri che facciamo? Noi a cui rimane l’uso della favella immaginiamo qualche disegno di miseria più orribile, per far meravigliare l’avvenire coi nostri infortunii.

Luc. Mio caro padre, cessate dai vostri pianti, perocchè mirate come questa disperazione mette in disperazione la mia povera sorella.

Mar. Pazienza, cara nipote; buon Tito, asciuga le tue lagrime.

Tit. Ah Marco, Marco! fratello, io ben conosco che il tuo drappo non può più tergere il mio pianto, perchè, infelicissimo, è già inzuppato del tuo.