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atto secondo | 177 |
Sat. Due de’ tuoi figli (a Tit.), cani crudeli e sanguinosi, han tolta la vita a mio fratello. — Strappateli da quella fossa per condurli prigione, e vi restino finchè abbiamo inventate per supplizio loro torture nuove e inaudite.
Tam. Sono essi colà dentro? Oh! meraviglia! Come in breve si è tal misfatto scoperto.
Tit. Alto imperatore, sulle mie deboli ginocchia vi chieggo una grazia, in nome delle lagrime che non sogliono sgorgare da’ miei occhi..... è che questo delitto atroce dei miei figli maledetti..... maledetti, se provato è ch’essi ne siano gli autori.....
Sat. Se provato è? Ben vedete come è manifesto. Chi trovò questa lettera? Forse voi, Tamora?
Tam. Fu Andronico stesso che la raccolse.
Tit. Sì, fui io, signore; e nondimeno permettete ch’io divenga loro garante; perocchè giuro sulla tomba del mio venerabile padre ch’essi saran sempre pronti a presentarsi agli ordini di Vostra Maestà e a rispondere colla loro vita di questo delitto.
Sat. Tu non sarai loro mallevadore; e seguirai me invece. Alcuni tolgano il corpo, ed altri s’assicurino degli uccisori. Essi non profferiscano parola; il delitto è palese; e sull’anima mia! se vi fosse una pena più terribile della morte la farei loro subire.
Tam. Andronico, pregherò il re per te: non temer pei tuoi figli; nessun male accadrà loro.
Tit. Vieni, Lucio, vieni; non fermati per favellare con essi.
(escono)
SCENA V.
La stessa.
Entrano Demetrio e Chirone, con Lavinia violata, a cui hanno tagliate le mani e la lingua.
Dem. Va ora, e di’ se il puoi chi ti ha tagliata la lingua e disonorata.
Chir. Scrivi il tuo pensiero, palesa i sentimenti tuoi; e se i moncherini tel consentono fa prova di delatore.
Dem. Guarda se ella non possa ancora con bastanti segni accusarci.
Chir. Rientra nel tuo palagio, e chiedi acqua per lavarti le mani. (a Lav.)
Dem. Ella non ha lingua per chiamare, nè mani da lavarsi; onde lasciamola alle sue silenziose meditazioni.
Chir. S’io fossi nella sua condizione vorrei appendermi.