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170 | tito andronico |
SCENA II.
Una foresta vicino a Roma. — Si vede una capanna in distanza; odonsi corni e latrati di mute.
Entrano Tito Andronico, con alcuni cacciatori, Marco, Lucio, Quinto e Marzio.
Tit. La caccia è incominciata; il mattino è splendido e puro; i campi sono profumati; i boschi verdi e freschi; sciogliamo qui le mute, e facciamole latrare sì che risveglino l’imperatore e la sua amabile sposa e il prìncipe suo fratello: uniamovi quindi anche uno squillo di corni tanto penetrante, che tutta la Corte ne risuoni. Miei figli, assumete insieme con noi la cura di guidare e di proteggere Sua Maestà. Fui turbato questa notte nel mio sonno da terribili visioni. Ma il dì nascente ha riconfortato il mio cuore. (alto squillo di corni; entrano Saturnino, Tamora, Bassanio, Lavinia, Chirone, Demetrio e seguito) Buon giorno a Vostra Altezza! E a voi anche, madonna! Io vi aveva promesso di risvegliarvi colle mie trombe.
Sat. E fatto lo avete con grande ardore. Forse un po’ troppo mattutinamente per persone accoppiatesi da poco.
Bas. Lavinia, che ne dite voi?
Lav. Io non mi dolgo; da più di due ore era interamente desta.
Sat. Su via; ci si conducano i carri e i cavalli, e andiamo ai nostri diporti. Signora (a Tam.), ora vedrete la nostra caccia romana.
Mar. Io posseggo cani che atterreranno la più feroce pantera, e che salir sapranno sino alla cima del più alto promontorio.
Tit. Ed io ho un cavallo che seguirà le mute dapertutto, e che sfiorerà e pianure colla prestezza della rondinella.
Dem. Chirone, noi non caccieremo con cavalli e cani, eppure farem forse la più bella caccia. (escono)
SCENA III.
Una parte deserta del bosco.
Entra Aaron con un sacco d’oro.
Aar. Un uomo di senno crederebbe ch’io senno non avessi, seppellendo tant’oro sotto un’albero per non mai possederlo; ma chi concepisce di me sì trista opinione, sappia che da quest’oro