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atto secondo 169


Dem. Perchè dunque dispererebbe di un buon successo quegli che sa far la sua corte con dolci parole, con teneri sguardi e ricchi doni? Non avete voi di sovente uccisa una damma, e rapitala dinanzi agli occhi del guarda-boschi?

Aar. E’ pare che qualche furto amoroso dovesse rendervi felice.

Chir. Sì, certo.

Dem. Hai colpito nel segno.

Aar. Vorrei che voi pure ciò fatto aveste, onde non fossimo più così tribolati dalle vostre contese. Ascoltatemi, ascoltatemi. Siete voi tanto pazzi da venirne a contesa per simili motivi? Un mezzo che vi facesse riescire entrambi vi offenderebbe?

Chir. Non me, in verità.

Dem. Nè me, purchè la mia parte avessi.

Aar. In nome della vergogna, siate amici, e unitevi per l’oggetto che vi fa discordi. È la dissimulazione e l’astuzia che debbono farvi ottenere quello che tanto desiderate. Ricordatevi della massima, che convien fare come si può, nè far si può come si vuole. Apprendete ciò da me: Lucrezia non fu più casta che nol sia questa Lavinia, adorata da Bassanio. Battere dovete quindi un’altra via più rapida; io vi additerò il cammino che seguir bisogna. Principi, si appresta una regal caccia: le bellezze romane vi accorreranno in folla; i viali della foresta son larghi e spaziosi, e hannovi ridotti solitarii che la natura sembra aver fatti apposta per la frode e pel ratto; traete in uno di quei ricoveri la vostra agile damma, e se le parole sono inutili usate la violenza. Sperate il successo con tal mezzo, o rinunciate ad ogni speranza. Noi istruiremo la nostra imperatrice e il suo genio consacrato al delitto e alla vendetta, di tutti i disegni che meditiamo, ed ella saprà coi suoi consigli togliere gli ostacoli e facilitare i mezzi della nostra impresa: nè tollererà che veniate a litigi, e vi guiderà entrambi al colmo dei vostri voti. La Corte dell’imperatore rassomiglia al tempio della Fama, il suo palazzo è pieno d’occhi, d’orecchie e di lingue; i boschi al contrario sono spietati, insensibili, sordi, spaventosi. È là, egregi giovani, che parlar conviene, che ferire bisogna; disfogate là la vostra passione, non rischiarati dall’occhio dei cieli, e saziatevi liberamente dei tesori di Lavinia.

Chir. Il tuo consiglio, amico, non sente di viltà?

Dem. Sit fas, aut nefas, fino a che io trovi il ruscello che calmar possa l’ardore del mio sangue, o il prestigio che mi disamori, per Stygia, per manes vehor.     (escono)