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atto primo | 163 |
Tit. No, insensato tribuno, no, ei non era mio figlio... nè questi lo sono, confederati pel disonore della famiglia nostra; fratelli indegni: indegnissimi figli!
Luc. Ma dategli almeno sepoltura dicevole; partecipi Muzio alla tomba dei suoi fratelli.
Tit. Traditori, allontanatevi; ei non poserà in quel sepolcro. Quel monumento s’innalza da cinque secoli, ed io l’ho ristaurato: ivi non riposano che guerrieri che ben servirono Roma, ed essi solo han dritto a quella tomba gloriosa: ivi non si racchiudono ribelli uccisi in vergognosi litigi! Seppellitelo ove vorrete, ma non in quella tomba.
Mar. Signore, empia è la sentenza; le gesta di mio nipote Muzio parlano in suo pro, e interrato essere debbe coi suoi fratelli.
Quin. e Mar. E lo sarà, o tutti noi lo accompagneremo.
Tit. E lo sarà? Qual fu il tristo che profferì questa parola?
Quin. Quegli che la sosterrebbe in qualunque luogo, tranne in questo.
Tit. Che! Vorreste voi seppellirlo mio malgrado?
Mar. No, nobile Tito; ma supplicarti di perdonare a Muzio e di accordargli tomba.
Tit. Marco, tu pure hai congiurato contro la mia gloria, e sei tu che con questi sconoscenti hai leso il mio onore! Io vi reputo tutti miei nemici, e vi prego a non infestarmi più e a dipartirvi.
Mar. Ei non è in sè; ritiriamoci.
Quin. No, finchè le ossa di Muzio non abbiano avuto sepolcro.
(Marco e i figli di Tito s’inginacchiano)
Mar. Fratello, la natura parla in questa parola.
Quin. Padre; anche in questa la natura favella.
Tit. Non dir nulla di più, se ami la tua salvezza.
Mar. Illustre Tito, tu che sei più che metà della mia anima...
Luc. Caro padre, spirito ed essenza di noi tutti...
Mar. Permetti che il tuo fratello Marco seppellisca qui in questa tomba il suo nobile nipote, che è morto per la causa dell’onore e di Lavinia. Tu sei Romano, non esser dunque barbaro. I Greci, meglio esperti, acconsentirono ad interrare Ajace, che si era da se medesimo ucciso, e il savio figlio di Laerte perorò con generosa eloquenza pei di lui funerali: non rifiutar quindi l’accesso di questa tomba al giovine Muzio, che era la tua consolazione.
Tit. Sorgi, Marco, sorgi. — Il giorno più orrendo ch’io mi abbia veduto è questo, in cui disonorato fui dai miei figli in seno di Roma! Su via, seppellitelo: e me dopo di lui.
(Muzio vien deposto nella tomba)