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162 tito andronico


Tit. Nè tu, nè egli siete figli miei: i miei figli non mi avrebbero mai così disonorato. Traditori, rendete Lavinia al vostro principe.

Luc. Estinta, se volete: ma non per essere sua sposa, dacchè fu promessa prima alla tenerezza di un altro consorte. (esce)

Sat. No. Tito, no; l’imperatore non l’ha in cale; nè te tampoco, nè alcuno della tua schiatta. Non più mi affiderò in colui che una volta mi ha schernito; non più riacquisterai la mia affezione, nè tu, nè i figli tuoi, perfidi e insani, congiunti tutti insieme per disonorarmi. Non v’era dunque in Roma che Saturnino, di cui tu fare potessi un oggetto d’insulto e di disprezzo? Tale, condotta, Andronico, si conforma all’alterigia tua, che asserir osa ch’io ho mendicato l’imperio dalle tue mani.

Tit. Oh orrore! Quali parole di rampogna son queste!

Sat. Segui la tua via; cedi quella instabile creatura a colui che alzò per lei la sua spada minacciosa, e un valente genero avrai, un uomo adatto a vagare sedizioso per le vie di Roma.

Tit. Questi detti sono pugnali al mio cuore.

Sat. E voi, dolce Tamora, regina dei Goti, che vincete in bellezza le più belle di Roma, come Diana vince le sue seguaci, se la subitanea scelta, che fo di voi, può piacervi, in questo istante medesimo, Tamora, io vi eleggo a mia sposa, e vi fo imperatrice di Roma. Parlate, regina dei Goti, siete paga? Io giuro qui per tutti i numi che adoriamo, che, poichè il pontefice e l’acqua sacra ne stan presso, e le tedi dell’imeneo risplendono, non ricalcherò le vie della città, nè rientrerò nel mio palagio, senza condurvi con me la mia sposa, meco unita con tutte le formole più solenni.

Tam. Ed io qui alla vista del Cielo giuro a Roma che se Saturnino tanto innalza Tamora, ella compiacerà ad ogni suo desiderio, e diverrà tenera madre e nudrice sagace della sua giovinezza.

Sat. Ascendi, bella regina, al Panteon. — Nobili Romani, accompagnate il vostro imperatore e la sua amabile sposa, mandata dal Cielo per essere unita a Saturnino, la cui saviezza corregge gli odii della di lei fortuna. Al Panteon noi compiremo i riti del nostro matrimonio. (esce con Tamora e i di lei figli, il seguito, Aaron e i Goti)

Tit. Non mi fu imposto di assistere a quelle nozze! — Tito, quando mai ti vedesti così disonorato, così abbandonato e coperto d’ignominia? (rientrano Marco, Lucio, Quinto e Marzio)

Mar. Oh! Tito, vedi, vedi quello che hai fatto! Per un’ingiusta contesa, tu uccidesti un figlio virtuoso.