Questa pagina è stata trascritta, formattata e riletta. |
158 | tito andronico |
al giogo romano? Debbono ancora i miei figli essere sgozzati per le vostre strade, per avere generosamente difesa la causa del loro paese? Oh! se fu in te un pio dovere il combattere pel tuo imperatore e per la patria tua, un dovere eguale rendeva essi innocenti. Andronico, non bruttare di sangue la tomba tua. Vuoi tu accostarti alla natura degli Dei? Lo farai imitandone la clemenza: la pietà affettuosa è il simbolo della vera grandezza. Nobile e magnanimo Tito, mercè pel figlio mio.
Tit. Calmatevi, donna, e perdonatemi. Sono i fratelli di quelli che voi Goti avete visti vivi ed estinti, che chieggono un sagrifizio pei loro immolati germani. Vostro figlio dev’essere la vittima, e convien che muoia per dar pace alle loro anime gementi.
Luc. Si guidi tosto, e si accenda il rogo: tagliamo le sue membra colle nostre spade e diamole alle fiamme, fino a che siano interamente distrutte. (esce con Quin., Mar., Muz., e Alarbo)
Tam. Oh crudele e irreligiosa pietà!
Chir. Fu mai la Scizia pur per metà sì feroce!
Dem. Non raffrontare la Scizia all’ambiziosa Roma. Alarbo, tu troverai la pace, e noi soppravvivremo per tremare sotto gli sguardi di Tito. — Madre, riconfortatevi, e accogliete la speranza che quei medesimi Numi, che armarono già un tempo la regina di Troia, e le diedero modo di esercitare la sua vendetta sul tiranno di quella città sorpreso nella sua tenda, potranno egualmente sostenere Tamora, la regina dei Goti (allorchè i Goti erano liberi e ch’ella regina era), e porla a tale di esorare sui suoi nemici ingiurie sì sanguinose. (rientrano Lucio, Quinto, Marzio e Muzio colle spade insanguinate)
Luc. Padre e signore, adempito abbiamo ai riti romani: le membra di Alarbo son recise, e le sue viscere alimentano la fiamma del sagrifizio, il cui fumo come incenso sale al cielo: non rimane ora più che seppellire i nostri fratelli, e deporli nel seno di Roma, fra il romore delle nostre acclamazioni.
Tit. Compite tal dovere; e Andronico indirizzi alle loro anime il suo ultimo addio. (le trombe suonano intantochè vien deposto il feretro entro la tomba) Riposate qui, figli miei, nella pace e nell’onore; intrepidi difensori di Roma, riposate qui, esenti omai dalle vicissitudini e dalle sventure di questo mondo. Nel vostro asilo non si cela nè tradimento nè invidia: qui non si mostra l’odio spaventoso; qui niuna tempesta, niuno strepito turberanno il vostro riposo; qui gusterete un silenzio e un sonno eterno. Riposate qui, miei figli, nella pace e nell’onore. (entra Lavinia)
Lav. In pace e onore duri egual tempo Tito! Mio illustre