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atto primo | 157 |
dove ha sbaldanziti colla sua spada, e posto sotto il giogo i nostri nemici.
(squillo di trombe, ecc. Entrano Muzio e Marzio: quindi due uomini portanti un cataletto addobbato di nero; poscia Quinto e Lucio. Dopo essi Tito Andronico, e in seguito, Tamora con Alarbo, Chirone, Demetrio, Aaron ed altri Goti prigionieri; le soldatesche e il popolo vengono dietro. Il feretro è posto a terra; e Tito parla)
Tit. Salute, Roma vittoriosa, in mezzo ai lutti tuoi! Simile alla nave che, avendo lungi trasportato il carico suo, rientra onusta di doviziose spoglie nella dolce baia da cui ella levò l’àncora; così Andronico, cinto di ghirlande di alloro, ritorna di nuovo per salutare la sua patria fra le lagrime che gli spreme la schietta gioia di rivedersi in Roma. — Oh tu, onnipossente protettore di questo Campidoglio, propizio sii ai religiosi doveri che ci proponiamo di adempiere! — Romani, di venticinque figli che avevo, prodi tutti (e Priamo non pur di dodici ebbe a vantarsi), ecco quel che mi rimane! Roma ricompensi coll’amor suo quelli che sopravvivono; gli altri che conduco alla loro ultima dimora ricevano sepolcro fra i loro avi. I Goti alfine mi concessero di riporre la spada..... ma Tito, padre ingrato e troppo incurevole de’ tuoi, perchè lasci tu sì lungo tempo i tuoi figli senza sepoltura ad errare sulla trista riva dello Stige? Apritemi la via, e andiamo ad interrare quest’estinto accanto ai suoi fratelli. (si apre la tomba) Oh voi, ch’io saluto nel silenzio che si addice ai morti, dormite in pace, vittime immolate nelle guerre della vostra patria! Oh sacro asilo, che racchiudi ogni mia gioia, porto pacifico di virtù e d’onore, quanti figli miei hai tu raccolti nel tuo seno, che più non mi renderai!
Luc. Datene il più illustre dei vostri captivi, perchè gli tagliamo le membra, e ne facciam rogo espiatorio ai mani di questi generosi fratelli dinanzi al sepolcro dove giacciono le loro ossa, sicchè le ombre loro crucciate non siano, e atterriti noi stessi non rimaniamo da spaventose apparizioni.
Tit. Questo io vi cedo, che è il più nobile dei miei prigionieri che sopravvivono; figlio primogenito di questa sventurata regina.
Tam. Fermatevi, Romani. — Generoso conquistatore, vittorioso Tito, abbi pietà delle lagrime che verso; delle lagrime di una madre addolorata pel figlio suo; e se mai tuoi figli ti furon cari, pensa che il figlio mio non è men caro alla sua genitrice. Non basta che noi siam condotti per Roma ad ornare il tuo trionfo e il tuo ritorno, prigionieri trascinati sull’orme tue, e incatenati