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148 | il sogno di una notte d’estate |
sopracciglia di giglio, quel naso purpureo, quelle guancie giallognole sono andate, sono andate: amanti, gemete; i suoi occhi son verdi come i porri. Oh! triplici sorelle, venite, venite a me, e le vostre mani, pallide come il latte, tingete nel mio sangue, poichè risecato avete colle vostre cesoie il suo filo di seta. Lingua, non aggiungere una parola di più: vieni, fedele spada, vieni, lama, immergiti nel mio cuore, e addio amici; così Tisbe finisce; addio, addio». (muore)
Tes. Il Chiaro-di-luna e il Leone rimangono per seppellire il morto.
Dem. Sì, e il Muro ancora.
Bot. No, posso assicurarvene, il muro che divideva i loro padri è crollato. Vi piace di vedere l’epilogo, o di udire una danza bergamasca fra due della nostra compagnia?
Tes. Non epiloghi, ve ne prego; perocchè il vostro dramma non ha bisogno di scuse. Non scuse; avvegnachè quando gli attori son tutti morti non vale il censurarne la memoria. In verità se quegli che ha composto questo dramma avesse recitata la parte di Piramo, e si fosse appeso colla giarrettiera di Tisbe, sarebbe stata una stupenda tragedia, ed essa è nondimeno molto bella e molto ben compiuta. Ma venga la vostra bergamasca, e dell’epilogo più non si parli. (segue una danza di villici) La ferrea lingua della mezzanotte ha battute le dodici: amanti, a letto; è quasi l’ora delle Fate. Temo che non dormiano nel veniente mattino le ore che abbiamo vegliate qui di troppo. Questa rozza farsa ha ben ingannati i nostri sensi sul progresso della notte. — Cari amici, a letto. — Quindici dì passeremo fra gioiosi conviti per celebrare solennemente la nostra felicità. (escono)
SCENA II.
Entra Puck.
Puck. Ecco l’ora in cui rugge il leone, in cui il lupo urla alla luna, intantochè lo stanco agricoltore riposa esausto dalle fatiche del dì. Ora i tizzi consumati splendono quali ardenti carboni, e la civetta, esalando il suo sinistro grido, ricorda al tapino che giace fra i dolori il suo funereo fine. Ora è il tempo della notte nel quale le tombe si spalancano e lasciano sfuggire i loro spettri che vanno ad errare pei cimiteri. E noi Spiriti, che corriamo dietro al carro della triplice Ecate, fuggendo la presenza del sole e seguendo le tenebre, noi adempiamo i nostri giuochi notturni.