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atto quinto 143

semplicità e dall’ingenuo rispetto, è sempre buono. Andate, fateli venire. — E voi, belle signore, assidetevi ai vostri posti. (Fil. esce)

Ip. Non mi piace di mirare miseri tapini venir meno nei loro conati per piacere, e lo zelo soccombere con vergogna.

Tes. Nè ciò vedrete, mia cara.

Ip. Ma ei dice che non san far nulla che possa guardarsi.

Tes. Non sembreremo che più generosi ringraziandoli senza che essi ne abbiano nulla dato. Il nostro piacere starà nel notare i loro errori: perchè in ciò che il buon volere, quantunque impotente, intraprende e non può compiere, un cuor nobile e generoso riguarda il merito di quanto si sarebbe voluto fare, e non di quanto si è fatto. Allorchè venni in questo ducato, gravi personaggi aveano formato il disegno di festeggiarmi con arringhe lungo tempo studiate; e quando li vidi tremare e impallidire, restare a metà delle loro orazioni, e la loro lingua balbutire e ammutolirsi, il loro silenzio mi è sembrato il complimento migliore, ed ho meglio letto nella modestia del loro timido rispetto, che nella altera voce di un’eloquenza audace e petulante. Per me, lo zelo, l’affezione e l’ingenuità che balbettano nulla dicendo, mi commuovono più dei discorsi meglio ordinati. (entra Filostrato)

Fil. Se piace a Vostra Grazia, il prologo è pronto.

Tes. Venga innanzi. (squillo di trombe; entra il Prologo)

Prol. «Se rechiamo dispiacere, sarà nostro malgrado, perchè all’intenzione veniamo di mostrare il nostro semplice zelo: quest’è il vero principio del nostro termine. Considerate quindi che se non fossimo qui che per darvi dispiacere, il nostro vero scopo sarebbe di darvi piacere: tale è la nostra intenzione. Non veniamo per contristarvi. — Gli attori son vicini, e da loro saprete quello che dovete sapere».

Tes. Costui almeno fa poche cerimonie.

Lis. Egli è passato pel suo prologo come un puledro, cui nulla raffrena, passa per un prato. Quest’è una buona lezione, mio principe: non basta parlare, convien parlare con senno.

Ip. Ei recitò il suo prologo, come un fanciullo suonerebbe il flauto: vuoti suoni senza nessun accordo.

Tes. Il suo discorso somigliava una catena impacciata: non v’era alcun anello di meno, ma tutti erano in disordine. Chi vien dopo? (entrano Piramo e Tisbe, il Muro, il Chiaro-di-Luna e il Leone)

Prol. «Signori, forse voi stupite di tale spettacolo: ma stupitene