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ATTO QUINTO
SCENA I.
La stessa. — Un appartamento nel palazzo di Teseo.
Entrano Teseo, Ipolita, Filostrato e seguito.
Ip. È strano, mio amato Teseo, quello che narrano questi amanti.
Tes. Più strano che vero. Non mai potrò prestar fede a queste vecchie fole, nè a queste celie di Fate. Gli amanti e i pazzi hanno cervelli ardenti, un’imaginativa feconda in larve e che concepisce oltre quello che la ragione può comprendere. Il pazzo, l’amante e il poeta son pieni di fisime. Uno vede più demonii che l’inferno non possa contenerne, ed è il pazzo: l’amante, a simiglianza del folle, ravvisa la beltà di Elena sopra una fronte da zingana; l’occhio del poeta rotante nella sfera di una splendida concezione, vibra il suo guardo dal cielo alla terra, e dalla terra al cielo, e come l’imaginazione dà corpo e forma agli oggetti sconosciuti, la penna del poeta presta ad essi del pari veste novella, e assegna a un fantasima aereo, a un nulla, una dimora propria e un nome peculiare. E tali sono i giuochi di una fantasia viva e forte, che se ella prova un sentimento di gioia crea tosto un essere portatore della nuova forma: o se nella notte si esalta per terrore, un cespuglio assume subito a’ suoi occhi il minaccioso aspetto di una fiera.
Ip. Ma tutta la storia ch’essi han raccontata di ciò che è accaduto questa notte... le foro facoltà intellettuali così trasformate... tutto ciò annuncia qualche cosa di più che vane illusioni delle mente, e mostra un che di reale, e certo di assai strano, qual che siasi il modo con cui si è manifestato. (entrano Lisandro, Demetrio, Ermia ed Elena)
Tes. Ecco i nostri amanti che vengono pieni d’allegrezza. — La gioia, gentili amici, inondi sempre i vostri cuori, e il vostro amore vegga una lunga sequenza di bei giorni.
Lis. Giorni più belli ancora e più fortunati splendano su Vostra Altezza, e vi facciano sempre lieto.
Tes. Quali danze, quali feste farem noi per passar giovialmente