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120 | il sogno di una notte d’estate |
ATTO TERZO
SCENA I.
La stessa.
La regina delle Fate giace addormentata. Entrano Quinzio, Snug, Bottom, Flute, Snout e Starveling.
Bot. Ci siam tutti?
Quin. Sì, sì; ed ecco un luogo a proposito per far la nostra prova. Questo verde prato sarà il nostro teatro; questa siepe il nostro luogo per ripararci; e reciteremo il nostro dramma come se fossimo innanzi al duca.
Bot. Pietro Quinzio.....
Quin. Che dici, bovino Bottom?
Bot. Vi sono alcune cose in questa commedia di Piramo e Tisbe che non possono piacere. Prima, Piramo deve sguainar la spada per uccidersi, cosa che non può andar a’ versi delle dame. Che rispondete a ciò?
Snout. Per la vergine! ei risveglerà un gran terrore.
Star. Penso che rimettiamo il suicidio all’ultimo, allorchè tutto sarà finito.
Bot. No, pel Cielo! ho un espediente per conciliare ogni cosa. Scrivete un prologo che sembri dire che non vogliam far male a nessuno colle nostre spade, e che Piramo non è ucciso da vero: per maggior sicurezza aggiungete che io, che riempio le parti di Piramo, non son Piramo, ma Bottom il tessitore. Così si dissiperà ogni timore.
Quin. Ebbene, faremo questo prologo, che verrà scritto in versi di sei o otto sillabe.
Bot. D’otto, d’otto è meglio.
Snout. Non avran paura le dame del leone?
Star. Io ne ho sospetto.
Bot. Dovete pensare, signori, che il condur sulla scena, Dio vi protegga! un leone fra placide donzelle, è una delle più terribili cose: perocchè non vi è uccello più formidabile del leone, e a ciò si vuol badare.
Snout. Ebbene, un altro prologo per dire che non è un leone.