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atto quarto 77

ramente amato, ed egli non vi ha fatto ancora verun oltraggio. Or perchè, di me tanto giovine abusando, non potreste voi rendergli un servigio di massima importanza? Riputereste voi forse atto infame lo sgozzare l’innocente agnello al Nume irritato?

Macduff. Non sono un traditore, o giovine...

Malcolm. Ma Macbeth lo è; e l’impero di un malvagio si fa sentire talvolta anche nei cuori più miti e virtuosi. Vi chieggo perdono d’un dubbio che non varrà ad intorbidare l’essenza dell’anima vostra. Gli angeli del cielo brillano ancora dello stesso splendore, quantunque il più lucido di loro sia stato precipitato nell’abisso; e se il caso effigiasse sulla fronte di un iniquo le armoniose grazie della purità, queste non perderebbero della loro freschezza, benchè facessero velo ai pensieri d’un ribaldo.

Macduff. Ora ho perduto ogni speranza.

Malcolm. Forse le vostre speranze stesse furon quelle che risvegliarono i miei sospetti. Perchè sì improvvisamente abbandonaste e sposa e figli, legami sì teneri e potenti d’amore, senza tampoco congedarvi da essi? — Ve ne scongiuro, non vogliate vedere ne’ miei sospetti alcun insulto, ma solo certe cautele per la mia sicurezza.

Macduff. Perisci, perisci sciagurata patria; e tu, o tirannia, raffermati sulle tue fondamenta, e la virtù non osi reprimere i tuoi furori — Addio, principe; soffrite senza lagnarvi i rigori della fortuna; e siate convinto ch’io non vorrei essere il vile che immaginate, fosse anche pel possesso di tutte le terre che gemono sotto la mano del tiranno, e vi si arrogessero eziandio tutti i tesori dell’Oriente.

Malcolm. Non vi offendete de’ miei timori; che, vel ripeto, non provengono da diffidenza di voi. — Bene io credo che l’infelice patria nostra soccomba sotto il giogo che con sangue e pianto le gravita sul collo, e che ogni giorno aggiunga nuovi dolori ai dolori antichi. Ma quand’anche io m’armassi, e forte dello sdegno delle migliaia che vivono malcontenti in Iscozia, e vieppiù forte per le schiere de’ valorosi che m’offre la nobile Inghilterra, arrivassi a calpestare il tiranno, ed inalberare la testa di lui sulla punta della mia daga, l’infelice mia terra non per questo si troverebbe più alleggiata di prima, od avrebbe meno a temere dall’uomo che succedesse all’estinto re.

Macduff. Ma chi sarebbe costui?

Malcolm. Io stesso. Stanno in me radicati e sì profondamente i neri germi d’ogni più atro vizio, che, quando essi avessero a fruttificare, il sanguinoso Macbeth apparirebbe terso, puro come la