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atto quinto | 363 |
Dol. Oh signore, i vostri presentimenti non erano che troppo sagaci; quel che temevate è accaduto.
Ces. Finì da eroina; penetrò i nostri disegni e da regina li deluse. Come morirono? Non veggo traccia di sangue.
Dol. Chi le lasciò da ultimo?
1a Guard. Un povero villico, che recò loro un canestro di fichi. Ecco il canestro.
Ces. Avvelenati eran forse?
1a Guard. Ah Cesare! Carmiana, che colà scorgete, viveva ancora, non è che un istante. Diritta ella stava e parlava adattando il diadema alla fronte della sua signora estinta, quando la vidi vacillare e cadere.
Ces. Oh sensibile e nobile vittima!... Se inghiottito avessero veleno, si dovrebbe conoscere da qualche esterna tumidezza: ma Cleopatra sembra essersi assopita voluttuosamente come se volesse prendere un altro Antonio nei lacci delle sue grazie.
Dol. Sul di lei seno apparisce una puntura che il sangue ha arrossata, e un po’ d’enfiatura nella pelle; egual segno si vede anche nel di lei braccio.
1a Guard. È la ferita di un aspide; e queste foglie di fico son coperte di una gomma simile a quella che quei serpentelli lasciano anche nelle caverne del Nilo.
Ces. È facile che così siasi spenta; perocchè il suo medico mi ha detto ch’essa lo ha interrogato molto tempo sui modi del morire più rapidi, e meno dolorosi. — Toglietela dal di lei letto e recate altrove le sue donne. Ella sarà sepolta accanto al suo diletto Antonio; e alcuna tomba sulla terra non avrà racchiuso coppia così famosa. Catastrofi tanto grandi stupiscono coloro stessi che ne sono gli autori; e la pietà che inspirano queste vittime ne renderà i nomi così chiari, come quello del vincitore che gli ha ridotti al tristissimo passo. — Voglio che il nostro esercito con solenne pompa ne segua il convoglio funebre; quindi marcieremo verso Roma. — Dolabella, sia vostra cura il far compiere queste esequie colle cerimonie più splendide ed auguste. (escono)
fine della tragedia.