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348 | antonio e cleopatra |
1° Guard. Non io.
2° Guard. Nè io.
3° Guard. Nè alcuno. (escono le guardie)
Der. La tua morte e le tue fortune fan fuggire i tuoi seguaci. Questa sola spada mostrata a Cesare, in un con tale novella, farà che bene mi si vegga. (entra Diomede)
Diom. Dov’è Antonio?
Ber. Là, Diomede, là.
Diom. Vive egli? Non vuoi rispondere? (Derceta esce)
Ant. Sei tu costà, Diomede? Snuda la spada e fammi morire.
Diom. Potente signore, la mia regina Cleopatra mi mandò a te.
Ant. Quando ti mandò?
Diom. Ora, mio signore.
Ant. Dove è ella?
Diom. Chiusa nel suo monumento, ove aveva un presagio di sventura che vedo avverato. Allorchè seppe che sospettavate di lei, e ciò senza ragione; allorchè seppe che credevate che si fosse tacitamente accordata con Cesare, e che nulla poteva placare i vostri furori, ella vi ha fatto annunziare che era morta. Ma poscia temendo gli effetti di tal novella, mi manda a dichiararvi il vero, sebbene vengo, lo temo, troppo tardi.
Ant. Troppo tardi, buon Diomede. — Chiama le mie guardie, te ne prego.
Diom. Olà! Le guardie dell’imperatore! Le guardie, olà! venite, il vostro signore vi chiama. (entrano alcune guardie)
Ant. Portatemi, buoni amici, dove è Cleopatra; è l’ultimo servigio che vi domando.
1° Guard. Siam dolenti, signore, che non possiate sopravvivere a tutti i vostri servi.
Tutti. Oh sfortunato giorno!
Ant. No, miei buoni compagni; il barbaro destino non goda delle vostre lagrime: accogliete con fronte serena i mali di cui ci opprime. È un vendicarsi di lui il ricevere i suoi colpi con nobile fierezza. Sollevatemi: vi ho condotti spesso; portatemi a vostra volta, miei buoni amici, e ricevete tutti i miei ringraziamenti.
(escono portando Antonio)