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342 antonio e cleopatra


Enob. Oh Notte, siimi testimone.....

Sol. Chi è costui?

Sol. Taci e ascolta.

Enob. Amica Luna, siimi tu testimone, allorchè l’istoria denunzierà all’odio dei posteri i nomi dei vili disertori, che almeno l’infelice Enobarbo si pentì in presenza tua!

Sol. Enobarbo?

Sol. Taci; odi il resto.

Enob. Oh sovrana e signora della vera malinconia, versa su di me gli umidi veleni della notte, onde questa vita ribelle, che resiste ai miei voti, mi sia tolta. Il mio cuore, oppresso dal peso insopportabile del mio delitto e già corroso dal dolore, si franga alfine, e ponga un termine a tutti gli orrendi pensieri che mi cruciano. Oh Antonio, mille volte più generoso che il mio tradimento non è vile, tu almeno perdonami! e il mondo poscia m’iscriva, se vuole, nel libro della memoria, sotto il nome di empio fuggiasco, di disertore del suo signore. Oh Antonio! Antonio! (muore)

Sol. Parliamogli.

Sol. Ascoltiamolo; le cose di cui favella potrebbero riferirsi a Cesare.

Sol. Sì, ascoltiamolo. Ma ei dorme.

Sol. Svenne piuttosto; perchè preghiera sì trista quale fu la sua non mai venne innalzata prima di dormire.

Sol. Andiamo a lui.

Sol. Svegliatevi, svegliatevi, signore; parlateci.

Sol. L’udite, amico?

Sol. La mano della morte lo ha raggiunto. — Odi i tamburi che destano solennemente i dormitori. (si odono tamburi in distanza) Portiamolo al corpo di guardia; è un uomo cospicuo: la nostra ora è già trascorsa.

Sol. Venite dunque; forse si riavrà.

(escono col corpo di Enobarbo)


SCENA X.

Fra i due campi.

Entrano Antonio e Scaro, coll’esercito ritardante.

Ant. I loro apparecchi annunziano una battaglia in mare; ad essi non piacciamo troppo per terra.

Scar. Si combatterà per terra e per mare, signore.