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atto quarto 339


SCENA VI.

Il campo di Cesare dinanzi ad Alessandria.

Squillo di trombe. — Entrano Cesare, Agrippa, Enobarbo, ed altri.

Ces. Va innanzi, Agrippa, e comincia la battaglia: nostro volere è che Antonio sia preso vivo: fa che lo si sappia.

Agr. Così farò, Cesare.                                   (esce)

Ces. Il tempo della pace universale in fine è vicino: se questo giorno riesce felice, l’olivo crescerà spontaneamente in tre parti del mondo.      (entra un messaggiere)

Mess. Antonio è venuto nel campo.

Ces. Va, raccomanda ad Agrippa di porre quelli che hanno disertato alla vanguardia, onde Marco sfoghi la sua ira sopra se stesso.     (esce col seguito)

Enob. Alexa si ribellò; e mandato in Giudea per ufficio di Antonio, quivi persuase il grande Erode di aderire a Cesare, disertando il suo signore: per tal merito Cesare lo fe’ strozzare: Canidio e gli altri ufficiali che si sono rivoltati ottennero impieghi, ma non onorevole confidenza. — Ho fatto male; e di ciò mi accuso con tanta asprezza, che non vi sarà più gioia per me.

(entra un soldato di Cesare)

Sol. Enobarbo, Antonio ha inviati dietro a te tutti i tuoi tesori con attestato di sincera affezione. Il suo messaggiere è venuto con me e sta ora nella tua tenda, scaricando i suoi muli.

Enob. Do tutto a te.

Sol. Non mi schernire, Enobarbo. Io vi dico in verità che sarebbe meglio che veniste a scortare il messaggiere fin fuori del campo: debbo attendere al mio ufficio, senza di che l’avrei condotto io stesso. — Il vostro imperatore continua a comportarsi da Giove.     (esce)

Enob. Io sono il solo vile della terra, e sento tutta la mia ignominia. Oh Antonio! anima inesausta in generosità, come avresti tu dunque ricompensati i miei servigi e la mia fedeltà, tu che coroni la mia infamia e la cuopri d’oro! A quest’ultimo atto il mio cuore si gonfia, e se il rimorso in breve non lo frange, un mezzo più pronto soffocherà il mio rimorso: ma esso mi ucciderà, lo sento. — Io combattere contro di te? No: vo’ cercare qualche grotta, in cui possa morire: e il più orrendo sepolcro deve nasconder la vergogna dei miei ultimi giorni.     (esce)