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atto terzo | 327 |
a mio senno le fortune degli uomini. Voi conoscevate quanto soggetto vi fossi, e come la mia spada indebolita dalla mia affezione le avrebbe obbedito in tutto.
Cleop. Perdono, perdono!
Ant. Non versare una lagrima; una di esse val tutto quello che ho potuto vincere o perdere: dammi un bacio, questo di tutto mi compensa. — Inviammo verso di lui il nostro precettore; è egli tornato? — Amore, mi sento stanco... ho bisogno di vino e di vivande. — Entriamo; la fortuna sa che quanto più ne minaccia tanto più la disprezziamo. (escono)
SCENA X.
Il campo di Cesare in Egitto.
Entrano Cesare, Dolabella, Tireo, ed altri.
Ces. Entri l’inviato d’Antonio. — Lo conoscete?
Dol. Cesare, è il suo maestro; giudicate a quali estremi ei sia deputandovi sì misero personaggio1, egli, che non ha guari aveva tanti re per ambasciatori. (entra Eufronio)
Ces. Avvicinati, e parla.
Euf. Tale come io sono, vengo inviato da Antonio: non è molto ch’io era così inutile a’ suoi disegni, come lo è al vasto Oceano la goccia di rugiada sospesa sulla foglia del mirto.
Ces. Sia; riempi il tuo ufficio.
Euf. Egli saluta in te il signore de’ suoi destini, e chiede che gli sia concesso di vivere in Egitto: se gli rifiuti tal dimanda si restringe a pregarti che lo lasci respirare fra la terra e il cielo, qual semplice cittadino in Atene. Questo per lui. — Quanto a Cleopatra, ella rende omaggio alla tua grandezza, sommettendosi al poter tuo, e ti chiede il diadema de’ Tolomei (di cui ora il supremo tuo volere può disporre) pe’ suoi figli.
Ces. Per Antonio, io non ho orecchio; ma non rifiuto d’udire la regina, o di appagarla, a condizione però ch’ella caccierà d’Egitto il suo amante che è irreparabilmente perduto, o che gli toglierà ivi la vita. Se ella non fa ciò, troverà ripulsa alla sua preghiera. Di’ ad entrambi la mia risposta.
Euf. Continui ad arriderti amica la fortuna!
Ces. Riconducetelo per mezzo al campo. (esce Euf.) Ecco l’istante (a Tireo) di far prova della tua eloquenza; parti, e dividi
- ↑ Così povera penna della sua ala.