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324 | antonio e cleopatra |
SCENA VIII.
Una pianura vicino ad Azio.
Entra Cesare, Tauro, uffiziali ed altri.
Ces. Tauro...
Taur. Signore.
Ces. Non combattere per terra; rimantene fermo finchè accaduta non sia la battaglia in mare. Attienti a questa prescrizione; da essa dipende la nostra fortuna.
(escono; entrano Antonio ed Enobarbo)
Ant. Poniamo le nostre schiere da questo lato della montagna contro l’esercito di Cesare. Di qui potremo scoprir il numero dei suoi vascelli, e operare di conformità. (escono; entra Canidio da un lato col suo esercito, e Tauro dall’altro con quello di Cesare. Dopo brevi istanti si ode l’allarme; rientra Enobarbo)
Enob. Tutto è perduto, tutto è perduto, non posso vederne di più. L’Antoniade1, vascello ammiraglio della flotta egiziana, volge le vele e fugge con tutti gli altri; al veder ciò i miei occhi si sono offuscati. (entra Scaro)
Scar. Dei e Dive e potenze tutte d’Olimpo!
Enob. A che ciò?
Scar. Il più bel terzo del mondo è perduto, per la più deplorabile ignoranza; or possiamo dire addio ai regni, e alle province.
Enob. Come va il combattimento?
Scar. Dal nostro lato è un vero campo di peste dove la morte è inevitabile. L’infame prostituta d’Egitto, possa la lebbra distruggerla! nel calore dell’azione, allorchè l’esito incerto ne pendeva, o inclinava dal lato nostro, presa da non so qual terrore che la punse come un assillo punge una giovenca in giugno, fece innalzar le vele e fuggì.
Enob. Ne fui testimonio, e i miei occhi, atterriti da quello spettacolo, non ne poterono lungamente sostener la vista.
Scar. Appena aveva ella cominciato ad allontanarsi, allorchè Antonio, vittima troppo illustre della passione che l’incatena, spiegò a sua volta le ali del proprio vascello, e quasi insensato abbandonò il bollor della mischia per seguire i solchi di lei. Non mai vidi fallo sì vergognoso; non mai l’esperienza, il coraggio e l’onore si smentirono più indegnamente.
- ↑ Nome del vascello di Cleopatra.