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atto terzo | 323 |
partito, che vi promette una sicura vittoria, vi assoggettate senza necessità alle bizzarrie della fortuna.
Ant. Combatterò per mare.
Cleop. Ho sessanta vele; Cesare non ne ha di migliori.
Ant. Arderemo il superfluo del navilio, e col resto bene afforzato, combatteremo Ottavio se osa inoltrar verso Azio. Se la sorte ci tradisce, potremo risarcirci per terra. (entra un messaggiere) Che rechi?
Mess. La notizia è certa, signore; Cesare ha soggiogato Torino.
Ant. E in persona potè andarvi? Ciò è impossibile. Strano è pur anche che il suo esercito vi sia giunto. Canidio, tu comanderai per terra le nostre diecinove legioni, e i nostri dodici mila cavalli; noi andremo alla flotta: vieni, mia Teti. (entra un soldato) Ebbene, generoso guerriero?
Sold. Oh nobile imperatore, non combattere per mare, non fidarti a fragili legni; diffidi forse di questa spada e di queste ferite? Lascia agli Egiziani e ai Fenicii l’ardir di navigare come paperi; noi Romani siam fatti per combattere di piè fermo, per vincere in terra.
Ant. Via, via, partite. (escono Ant., Cleop., Enob.)
Sold. Per Ercole, credo d’aver ragione.
Can. Sì, soldato; ma ora la ragione non ha più alcun impero sul nostro duce che si lascia guidar da un fanciullo; sono le femmine che ne comandano.
Sold. Voi siete in terra alla testa delle legioni e della cavalleria, non è vero?
Can. Marc’Ottavio, Marco Fusteio, Publicola e Celio vanno in mare; noi restiamo in terra. — La celerità di Cesare è maravigliosa.
Sold. Ben prima della sua partenza da Roma l’esercito suo marciava, a piccole schiere che delusero le nostre spie.
Can. Chi è il suo luogotenente, lo sai?
Sold. Dicesi Tauro.
Con. Lo conosco. (entra un messaggiere)
Mess. L’imperatore chiede Canidio.
Can. Il tempo è gravido di novelle e di avvenimenti, e ad ogni istante ne partorisce qualcuno. (escono)