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atto terzo 319


Enob. Per tal guisa, o universo, di tre lupi divoratori due soli te ne rimangono; getta fra di loro tutti i beni che possiedi, e nulla si divoreranno. — Dov’è Antonio?

Ero. Passeggia nei giardini, e il suo piede calpesta con ira tutto ciò che incontra; di tratto in tratto grida: oh stolto Lepido, e minaccia di morte l’ufficiale che uccise Pompeo.

Enob. È ammannito il nostro navilio?

Ero. È pronto a salpar per l’Italia contro Cesare; altre novelle di Domizio... ma Antonio ti aspetta. Avrei dovuto avvertirtene prima, e rimettere ad altro tempo le cose che dovevo dirti.

Enob. Sarà bisogna lieve; però andiamo: guidami a lui.

Ero. Venite, signore.                                   (escono)

SCENA VI.

Una stanza nel palazzo di Cesare.

Entrano Cesare, Agrippa e Mecenate.

Ces. Ecco ciò che Antonio ha fatto in Alessandria in disprezzo di Roma. Ed ha fatto di più ancora; ascolta. In mezzo alla pubblica piazza, sopra una tribuna d’argento, Cleopatra ed egli assisi sopra troni d’oro, si son mostrati a tutti gli sguardi. Ai loro piedi stava assiso il giovane Cesarione, fanciullo che chiamano figlio di mio padre, e dietro lui schierata tutta l’impura razza, frutto delle loro libidini. Là, egli ha ceduto l’Egitto alla sua Cleopatra e l’ha gridata regina assoluta della bassa Siria, di Cipro e della Libia.

Mec. Come! dinanzi al pubblico?

Ces. Sì; e dove il popolo conviene pe’ suoi esercizi, ivi ha acclamati i suoi figli re dei re; la vasta Media, paese dei Parti, e l’Armenia ha date ad Alessandro; a Tolomeo ha assegnata la Siria, la Cilicia e la Fenicia. In quel giorno ella mostrossi alle genti addobbata come la dea Iside, e spesso ancora innanzi avea, dicesi, date le sue udienze sotto quel fastoso apparecchio.

Mec. Bisogna che Roma sia istrutta di questi eccessi.

Agr. Roma, già stanca della sua insolenza, gli toglierà la buona opinione che aveva concepita di lui.

Ces. Il popolo ne è avvertito, e nondimeno accoglie le sue lagnanze.

Agr. E chi dunque accusa con siffatte querimonie?

Ces. Cesare. Ei si lagna perchè, avendo tolta a Pompeo la Sicilia, l’ho frustrato della sua parte in quella conquista, e fonda i suoi lamenti sull’avermi prestati alcuni sdruciti vascelli. Si mo-