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atto terzo | 317 |
Cleop. Vedova?.. odi, Carmiana.
Mess. E credo annoveri i trenta.
Cleop. Rammenti il suo volto? è ovale o rotondo?
Mess. Rotondo fino alla stupidità.
Cleop. La maggior parte di siffatti volti indicano follìa. — I di lei capelli, di qual colore?
Mess. Bruni, signora; e la sua fronte è così angusta quanto è possibile di averla.
Cleop. Eccoti oro; non déi offenderti della mia prima asprezza. Ti impiegherò di nuovo; ti trovo atto ai negozi. Va, apprestati; le nostre lettere son ammannite. (il Mess. esce)
Car. Un valentuomo.
Cleop. Così è. Mi dolgo d’averlo in principio bistrattato. — Mi pare da quel ch’ei dice, che colei non sia a temersi.
Car. Oh menomamente, signora.
Cleop. Quell’uomo ha veduto belle donne, e saprebbe distinguere.
Car. Ne ha vedute? Buona Iside! Egli che è stato tanto tempo ai vostri servigi!
Cleop. Ho anche una cosa da chiedergli, cara Carmiana... ma non vale; tu me lo ricondurrai quando scriverò. Tutto andrà bene.
Car. Ve ne fo fede, signora. (escono)
SCENA IV.
Atene. — Una stanza nel palazzo d’Antonio.
Entrano Antonio e Ottavia.
Ant. No, no, Ottavia, non è soltanto questa offesa; mille di tali ne scuserei. Ma egli ha riacceso la guerra contro Pompeo; ha fatto il suo testamento e l’ha renduto pubblico; ha parlato di me con disprezzo, e quand’anche non poteva astenersi dal farmi onorevole testimonianza vi si prestava con freddezza e con aperto mal talento; è molto avaro per me, nè mi accorda che con ripugnanza un debole merito. Tutte le volte che gli fu enunciata sul mio conto una opinione favorevole, egli è stato sordo, o non ha risposto che balbettando fra i denti.
Ott. Oh mio buon signore, astenetevi dal credere ogni cosa; o se tutto credete, non vi offendete di tutto. Se tale divisione deve accadere, non mai fu donna più infelice di me, che costretta mi veggo a formar desiderii per entrambe le parti, e gli Dei scher-