Questa pagina è stata trascritta, formattata e riletta. |
atto terzo | 315 |
quello che di voi garantirei. — Nobile Antonio, possa questo tesoro di virtù, che pongo fra voi e me come cemento durevole e solido d’amicizia, non divenir mai l’istrumento nemico che elimini e distrugga la nostra unione. Meglio sarebbe stato lo amarci senza questo nuovo vincolo, se non ci adoperiamo entrambi per afforzarlo sempre di più.
Ant. Non mi offendete coi vostri dubbi.
Ces. Ho detto.
Ant. In onta della vostra delicata sensibilità su di ciò, non darò mai il più lieve soggetto ai timori che sembrano agitarvi. Oh Dei vi secondino, e facciano propenso il cuore dei Romani ai vostri disegni: qui ci divideremo.
Ces. Addio, mia cara sorella, sii felice, gli elementi ti siano cortesi, e ti rendano lieta la vita! Addio.
Ott. Mio nobile fratello!..
Ant. Il sorriso splende fra i suoi pianti1; la è una primavera di amore, e le sue lagrime son la rugiada che la fan bella e fiorente. — Statevi lieta.
Ott. Signore, vi raccomando la casa del mio sposo e...
Ces. Che! Ottavia?
Ott. Ve lo dirò all’orecchio.
Ant. La sua lingua si rifiuta di obbedire al suo cuore, nè il suo cuore può dar moto alla sua lingua; la sua anima ondeggia sospesa fra due dolci amori, come la penna del cigno scorre sopra le onde senza inchinare nè da un lato nè dall’altro.
Enob. (a parte ad Agr.) Piangerà Cesare?
Agr. Un nugolo sta sul suo volto.
Enob. Male.
Agr. Perchè, Enobarbo? Antonio ruggì di dolore allorchè vide il gran Giulio morto, e a Filippi pianse sul cadavere di Bruto...
Enob. In quell’anno infatti aveva una soprabbondanza d’umori2, e lagrimava l’uomo che avrebbe volentieri ucciso. Credi alle sue lagrime allorchè io pure piangerò.
Ces. No, dolce Ottavia, riceverete sempre novelle da me, nè il tempo, nè l’assenza faranno ch’io vi dimentichi.
Ant. Venite, signore, venite; gareggerò con voi in dimostrazioni d’affetto. Mirate, io vi tengo qui; (additando Ott.) e così vi lascio, accomandandovi agli Dei.
Ces. Addio; siate felice!