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atto secondo 305


Cleop. Egli è sposo? Non potrei odiarti di più di quel ch’io t’odio, se anche di nuovo dici .

Mess. È sposo, signora.

Cleop. Gli Dei ti dannino, osi ancora rimaner qui?

Mess. Dovevo mentire, signora?

Cleop. Oh vorrei che lo avessi fatto, quando anche una metà del mio Egitto ne fosse andata sommersa, e divenuta fosse una cisterna pei serpenti da scaglia! Fuggi da me. Avessi i lineamenti e la bellezza di Narciso, e mi parresti un mostro. Egli è sposo?

Mess. Chieggo scusa a Vostra Grandezza.

Cleop. Egli è sposo?

Mess. Non ne siate offesa, io non aveva intenzione di offendervi. Castigarmi, per aver obbedito ai vostri ordini, mi sembra ingiusto. Egli è sposo di Ottavia.

Cleop. Oh così la colpa sua avesse fatto di te uno scellerato, come nol sei... Che? Ti credi sicuro?... Fuggi; le merci che recasti da Roma, son troppo care per me; riprendile sul dorso, e siine schiacciato! (il Mess. esce)

Car. Di grazia, augusta regina, siate paziente.

Cleop. Lodando Antonio, feci onta a Cesare.

Car. Molte volte, signora.

Cleop. Eccomene ora punita. Conducetemi lungi di qui, io svengo. O Iras, Carmiana... ma non giova... va da colui, buon Alexa, e fatti descrivere il volto d’Ottavia, gli anni di lei, le sue tendenze, nè obbliar pure il colore de’ suoi capelli. Torna poi tosto per istruirmene. (Alexa esce) Dimentichiamolo per sempre... Ah no... Carmiana. Sebbene da un lato ei mi offra l’aspetto della Gorgone, dall’altro mi sembra Marte. — Di’ ad Alexa (a Mard.) che si appresti ad istruirmi sulla di lei persona. — Compatiscimi, Carmiana, ma non parlarmi. — Conducimi alle mie stanze.     (escono)

SCENA VI.

In vicinanza di Miseno.

Entrano Pompeo e Mena da un lato con istrumenti da guerra; dall’altro Cesare, Lepido, Antonio, Enobarbo, Mecenate, coll’esercito marciante.

Pom. Ho ricevuto il vostro ostaggio, voi avete i miei, e parleremo prima di combattere.