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atto secondo 301


Ant. Ebbene, desideri forse l’Egitto?

Ind. Piacesse agli Dei, che non ne fossi mai escito, o che in esso voi non foste mai entrato.

Ant. La ragione, se puoi dirmela?

Ind. La veggo colla mia scienza; ma la mia lingua non può esporla; ritornate al più presto in Egitto.

Ant. Dimmi, fra Cesare e me, chi avrà più lungamente amica la fortuna?

Ind. Cesare. — Perciò, o Antonio, non rimanerti a’ suoi fianchi. Il Genio che veglia sopra i tuoi giorni e sui tuoi destini, è nobile, coraggioso, fiero e senza eguale; quello di Cesare non ha alcuna di queste qualità, ma accanto a lui l’angelo tuo ha paura, come se fosse il suo schiavo sottomesso; pensa perciò a por sempre fra lui e te una gran distanza.

Ant. Non parlar più di questo.

Ind. Nol dico che a te; con altri mai non ne favello. — Se tu giuochi con lui a qualunque giuoco sei certo di perdere, ed egli ha tanta fortuna, che ti vincerà in onta di tutti i tuoi vantaggi. Da che ei s’avvicina a te, il tuo splendore si eclissa. Io te lo dico un’altra volta: il tuo Genio si turba e divien timido, allorchè gli stai vicino; lungi da lui, ei riprende tutta la sua alterezza.

Ant. Va, e di’ a Ventidio ch’io voglio parlargli — (l’Ind. esce) Ei marcierà contro i Parti. — Sia caso od arte, questo uomo disse il vero. Fino i dadi obbediscono a Cesare; e nei nostri sollazzi, la mia più gran destrezza riman sempre vinta dalla sua fortuna. Se esperimentiamo la sorte, i di lei premii più ricchi son sempre per lui, e sempre, ne’ giuochi pubblici, le sue quaglie1 uccidono le mie, malgrado tutte le precauzioni per mantenere l’eguaglianza fra le due parti. — Vo’ ritornare in Egitto. Se accetto quest’imeneo, è solo per assicurare la mia pace, ma tutti i miei piaceri sono in Oriente. (entra Ventidio) Oh vieni, Ventidio; convien ir contro i Parti; il tuo comando è dettato; seguimi per riceverlo.     (escono)

  1. Gli antichi facevano combattere insieme le quaglie come gl’Inglesi i galli.