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ATTO SECONDO
SCENA I.
Messina. — Una stanza nella casa di Pompeo.
Entrano Pompeo, Menecrate, e Mena.
Pom. Se gli Dei sono giusti, seconderanno il valore del partito più equo.
Men. Prode Pompeo, pensate che gli Dei non rifiutano sempre ciò che differiscono di accordare.
Pom. Mentre che a’ piedi del loro trono noi gl’imploriamo, la causa che li supplichiam di proteggere perisce per abbandono.
Men. Uomini ignoranti e ciechi sul nostro bene istesso, è la nostra perdita sovente che loro chiediamo, e la loro saggezza e bontà non esaudendoci ci avvantaggia.
Pom. Prospererò: il popolo mi ama e il mare è mio; la mia potenza cresce tutti i giorni, i miei presagi m’annunziano buon successo. Marco Antonio gozzoviglia in Egitto, di là non escirà per fare la guerra. Cesare accumulando danaro perde i cuori; Lepido gli adula entrambi e entrambi adulano Lepido; ma Cesare non ama nè l’uno nè l’altro, e nè l’uno nè l’altro lo curano.
Men. Nullameno Cesare e Lepido stan diggià in campo, ed hanno con loro un esercito poderoso.
Pom. Chi vi diè tal novella? Falsa è.
Men. Me la diede Silvio, signore.
Pom. Silvio sognò; io so che entrambi sono ancora in Roma, dove aspettano Antonio. — Oh lasciva Cleopatra, possano tutti i fuochi dell’amore infiammare i baci delle tue labbra! Unisci al potere della bellezza gli artificii dell’astuzia, e le dolcezze delle voluttà. Incatena in un cerchio di piaceri e di feste l’insaziabile Antonio; riscalda il suo cervello con vapori di continua ebbrezza. L’arte d’Epicuro coi suoi varii mezzi ecciti senza posa le sue passioni e svegli il loro languore; l’onore e l’amor della gloria dormano in lui sepolti in un fiacco sonno, profondo come l’obblio di Lete. — Ebbene, Vario? (entra Vario)
Var. Fate tesoro delle novelle che vi reco; Marc’Antonio è ad ogni istante atteso in Roma; computando dal tempo in cui è partito d’Egitto, dovrebbe già esservi giunto.