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284 antonio e cleopatra

esistessero più donne, fo fede che la vostra piaga sarebbe profonda, e che avreste motivo d’abbandonarvi al dolore; ma questo dolore vi lascia una sovrana consolazione; è, che dalle ceneri di quella antica affezione rinasceranno giovani amori; e per piangere una tal perdita è d’uopo aver negli occhi una ricchezza di lagrime che sgorghi senza che il cuore vi prenda parte.

Ant. La trama, ch’essa ha ordito nello Stato, chiede tosto la mia presenza.

Enob. E quella, che voi avete tessuto in questi luoghi, non può patir la lontananza vostra; sopratutto quella di Cleopatra, la cui sorte dipende dal vostro soggiorno in Egitto.

Ant. Non più vane risposte. — Siano avvertiti i nostri ufficiali della mia risoluzione. Dichiarerò apertamente alla regina la cagione della nostra partenza, e prenderò commiato da lei. Imperocchè, non è soltanto la morte di Fulvia e altri motivi anche più forti, che parlano grandemente al mio cuore; lettere pure di alcuni nostri amici, che formano disegni in Roma, sollecitano il mio ritorno. Sesto Pompeo ha mandato una disfida a Cesare, e tien l’impero dei mari. Il nostro popolo incostante, il di cui amore mai non segue l’uomo di merito, se non dopo che il suo merito è dileguato, comincia a far passare tutte le dignità e la gloria del gran Pompeo nella persona di suo figlio. Questi, potente di fama e di forze, e più potente per giovinezza e coraggio, s’innalza ed è già avuto in conto di ottimo guerriero; onde, se la fortuna lo seconda, l’universo potrebbe essere in pericolo. Più d’un germe malefico, se ancora non ha il veleno del serpe, si allena però, e comincia a prender vita, come il crine del corridore caduto in acqua corrotta1. Rendi noti i miei voleri a quelli che mi son soggetti.

Enob. Così farò.                                   (escono)

SCENA III.

Entrano Cleopatra, Carmiana, Iras e Alexa.

Cleop. Dov’è egli?

Car. Non l’ho più veduto.

Cleop. Cercatelo, osservate con chi è, e ciò che fa. Non sembriate mandata da me; se il trovate malinconico, ditegli che

  1. Allusione all’antica credenza, che il crine di un cavallo caduto nell’acqua di un pantano si cangiasse in rettile.