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282 antonio e cleopatra


Mess. Labieno, ed è cattivo l’annunzio, col suo esercito di Parti ha invaso l’Asia Minore, e portato lo stendardo delle sue conquiste dall’Eufrate e l’Assiria fino alla Libia e alla Ionia, intantochè...

Ant. Intantochè Antonio, volevi dire...

Mess. Oh mio signore!

Ant. Parlami senza rispetti; non attenuar nulla, esponimi le voci del popolo in tutta la loro verità; chiama Cleopatra col nome con cui viene chiamata in Roma; assumi il tuono d’ironia, col quale Fulvia parla di me; rimproverami i miei falli, con tutta l’amarezza e la licenza che spiega la verità nella bocca dei malvagi. — Oh! l’uomo vegeta e langue senza nulla produrre quando il soffio violento del biasimo non l’agita colle sue scosse. Il racconto del male che si dice di noi fa sull’animo quello che fa l’aratro sulla terra; lo strazia e lo feconda. — Lasciami un istante.

Mess. A piacer vostro.                                   (esce)

Ant. Da Sicione quali novelle? parla.

Seg. Il messaggiero di Sicione... Fu di là mandato un messaggiero?

Seg. Aspetta gli ordini vostri.

Ant. Lasciatelo entrare. — Convien che io rompa alfine questi ceppi egiziani che mi tengono incatenato, o che m’inabissi interamente nella mia pazza passione. — (entra un altro messaggiero) Chi siete voi?

Mess. Fulvia, tua moglie, è morta.

Ant. Dove morì?

Mess. In Sicione: la lunghezza della sua infermità e altre circostanze più gravi, che è necessario conosciate, stanno qui descritte.      (dandogli una lettera)

Ant. Lasciatemi. — (il mess. esce) Una grand’anima è scomparsa da questo mondo! — L’avvenimento che desiderai è accaduto!... E l’oggetto, che respingevamo con disprezzo, una volta perduto, vorremmo di nuovo possederlo! Così il piacere che ne lusinga, allorchè svanisce, cambia sul finir suo e diventa un dolore. A’ miei occhi or rassembra un tesoro, ora che più non è; la mano, che lungi la rigettava, ora vorrebbe ritenerla! — Conviene assolutamente ch’io mi sottragga al giogo in cui mi tiene questa regina incantatrice; mille mali, più grandi di quelli che già mi colpiscono, stanno per pullulare dalla mia vergognosa indolenza. Ebbene! Enobarbo.     (entra Enobarbo)

Enob. Che volete, signore?