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atto primo 279


Dem. Fa dunque così poco conto Antonio di Cesare?

Fil. Sì, allorchè ei perde coscienza di sè, troppo discende da quella grandezza che dovrebbe sempre accompagnarlo.

Dem. Sono veramente tristo di trovar fedeli i racconti della plebe; tale infatti è la pittura ch’essa fa di lui in Roma, ma confido che si ammenderà. — Siate felice.     (escono)

SCENA II.

Un’altra stanza.

Entra Carmiana, Iras, Alexa, e un Indovino.

Car. Signor Alexa, dolce Alexa, mio incomparabile, mio celeste Alexa, dov’è l’indovino che tanto encomiaste a Cleopatra? Oh conoscessi io quello sposo, che, come dite, debbe coprir di fiori la sua fronte disonorata!

Alex. Indovino.

Ind. Che volete?

Car. È questo l’uomo? — Siete voi, signore, che sapete ogni cosa?

Ind. Nel voluminoso libro dei segreti della natura, io posso leggere alquanto.

Alex. Mostrategli la vostra mano.                         (entra Enobarbo)

Enob. Apprestate subito il banchetto: e siavi in abbondanza vino da mescere alla salute di Cleopatra.

Car. Buon signore, datemi buona fortuna.

Ind. Io non la fo, la prevedo.

Car. Pregovi allora, prevedetemene una.

Ind. Diverrete più bella, che non siete.

Car. Vuol dir più pingue.

Iras. No, intende che, quando sarete vecchia, vi dipingerete la pelle.

Car. Le grinze nol vogliano!

Alex. Non turbate la sua prescienza; state attenta.

Car. Zitti.

Ind. Amerete di più, che non siate amata.

Car. Vorrei piuttosto abbruciarmi il fegato a furia di bere.

Alex. Ascoltatelo.

Car. Animo, dimmi ora la buona ventura. Fa ch’io mi mariti a tre re in un mattino, e che vedova rimanga d’essi dopo il banchetto; fa che io abbia un figlio a cinquant’anni, al quale Erode