Questa pagina è stata trascritta, formattata e riletta. |
272 | cimbelino |
mille circostanze, che, per ordine esposte, debbono essere di somma importanza. Dove eri tu? come traevi la vita, figlia mia? per quali circostanze hai seguito la fortuna di questo prigioniero romano? come ti fe’ allontanare da’ tuoi fratelli? come li hai trovati? perchè sei fuggita da me? dove ne andasti?... E voi, come vi siete condotti tutti a combattere? A queste e a mille altre inchieste che ora mi si affollano alla mente, dovete risposta; ma questo non è nè il tempo, nè il luogo da ciò. Ecco Postumo fra le braccia d’Imogène; ecco Imogène, che cogli occhi pieni di fuoco tutti ne affissa; e lo sposo e il padre e i fratelli e questo Romano, suo signore, blandisce con que’ suoi sguardi d’amore e di pietà! Non è alcuno fra noi, che oggi nella sua sorte non provi uno strano cambiamento! Usciamo di qui e rechiamoci al tempio a fare i nostri sagrificii. Tu, (a Belario) tu sei adesso mio fratello, e lo sarai sempre per me.
Imog. Sì, voi pure ci siete padre; e a voi pure debbo questo giorno di felicità!
Cimb. E qui saranno tutti felici tranne quei miseri prigionieri? No, dividano anch’essi la nostra gioia e sentano gli effetti della nostra letizia.
Imog. (a Lucio) Mio buon signore, io voglio servirvi ancora.
Luc. Siate felice!
Cimb. Ah! quel prode soldato, di cui si è perduta ogni traccia, e che con tanto ardore ha combattuto, perchè non è egli qui? come lo vorrei largamente premiare!
Post. Signore, io sono quel milite, che sotto lacere vestimenta accompagnava questi tre prodi: queste vestimenta assecondavano allora il mio disegno. Non sono io forse quello, Jachimo? parla: io ti aveva atterrato e ti potea togliere la vita.
Jach. (inginocchiandosi) Di nuovo, ecco, mi atterro; ma se allora fu il vigore del vostro braccio, adesso è il peso della mia coscienza che mi costringe a piegarmi. Toglietemi, ve ne scongiuro, toglietemi questa vita, che per tanti titoli vi debbo; ma prima ripigliate il vostro anello e questo smaniglio della più fedele principessa che mai giurasse amore.
Post. Non ti prostrare a’ miei piedi: il potere che vanto sopra di te, è quello di perdonarti; il rancore che io nutro teco è il piacere di obbliare ogni tua offesa. Vivi dunque, ma comportati meglio cogli altri uomini.
Cimb. Nobile sentenza! E nostro genero il primo ne darà dunque esempio di generosità? Perdono è la parola che a tutti io rivolgo.