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atto quinto 265

zia, e ti prendo al mio servigio. Non so qual motivo, qual tendenza sia che mi induca a dire: vivi, fanciullo, vivi! nè ringraziarne il tuo signore. Chiedi a Cimbelino quante grazie vorrai, e sta certo di ottenerle: sì quand’anche dovessi domandare la vita dei più illustri di questi prigionieri.

Imog. Ne ringrazio umilmente la Maestà Vostra.

Luc. Io non ti prego, buon giovinetto, di chiedere la mia vita, ma nullameno ben so che se’ per farlo.

Imog. No, no! oimè! altri pensieri mi premono: scorgo qui un oggetto, la cui sola vista m’è più crudele della morte. Quanto alla vostra vita, buon signore, pensate voi stesso al mezzo di ricomprarla.

Luc. Ei mi disprezza, m’abbandona, mi schernisce! Breve è la gioia di coloro che la fondano sulle affezioni della gioventù!... Ma da che procede la perplessità in cui lo veggo?...

Cimb. Che desideri, giovinetto? ad ogni istante io t’amo sempre più: pensa, e scegli la grazia che meglio ti piacerà. Conosci tu forse colui, sopra il quale s’affissano i tuoi sguardi? vuoi che egli viva? è forse tuo congiunto, tuo amico?

Imog. È Romano; nè m’è più congiunto di quello ch’io lo sia a Vostra Maestà, alla quale, per essere nato vassallo, sono assai più affine.

Cimb. Perchè dunque lo contempli con tanta attenzione?

Imog. Ve lo dirò in segreto, signore.

Cimb. Ed io ti porgerò ascolto. Qual è il tuo nome?

Imog. Fedele.

Cimb. Tu se’ il mio buon famiglio, il mio paggio; io vo’ essere il tuo signore: vieni meco, e parla liberamente.

(Cimbelino e Imogène parlano a parte)

Bel. Non è quel fanciullo ritornato da morte a vita?

Arv. Un granello di sabbia non può maggiormente somigliare ad un altro: sì, esso è quel fanciullo dalle guancie di rose, che noi abbiamo veduto estinto, e che si chiamava Fedele. Che credete?

Guid. Quell’estinto adesso lo vediamo qui vivo e sano.

Bel. Aspettate: due persone possono somigliarsi: s’ei fosse quegli che diciamo, sono certo che ci avrebbe già parlato.

Guid. Ma noi l’abbiamo veduto estinto.

Bel. Silenzio; e guardate.

Pis. (a parte) Quella è la mia signora. Ah! poichè vive, scorra pur rapido il tempo, e a suo grado m’arrechi o i beni o i mali.

(Cimbelino e Imogène si avanzano)