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atto quinto 261

in cui mi desto. — Infelici coloro che riposano sul favore dei Grandi! Essi sognano com’io ho sognato; e, svegliandosi, nulla ritrovano, come a me è avvenuto. — Ma oimè! taluni vi hanno, che senza pensare alla fortuna, e senza meritarla, veggonsi nondimeno pieni de’ suoi favori; e questo è quello che adesso mi accade, mercè il dolcissimo sogno, senza ch’io ne sappia la ragione. Quali genii abitano mai questi luoghi?.... Che veggo? un libro! ah! non essere anche tu, come nel mondo si vede, una bella scorza per un turpe midollo; non somigliare ai nostri cortigiani; non deludere le speranze che il tuo esteriore fa concepire.     (legge)

«Quando il nato d’un leone, a se medesimo sconosciuto, sarà trovato senza che lo si cerchi, e ricevuto fra le braccia di cosa formata di molle aere; quando i rami d’un augusto cedro, recisi e morti già da molti anni, rinasceranno per riunirsi all’antico tronco, e d’una vita novella comincieranno a germogliare, allora i mali di Postumo avranno fine, e la Brettagna felicemente fiorirà nella pace e nell’abbondanza».

O questo è un altro sogno, oppure io non ho letto che vane parole, quali la lingua della follia le proferisce senza che il cervello v’abbia parte. O è l’una o l’altra di queste cose: o nulla è, e dissennati vocaboli son questi che alla ragione non è dato indovinare. Ma stia pure questo caos nella sua incomprensibilità: la mia vita gli rassomiglia, e ne conserverò il movimento per questa sola somiglianza.     (rientrano i carcerieri)

Carc. Venite, signore: siete voi disposto a morire?

Post. Da gran tempo mi sono apparecchiato a ciò.

Carc. Forca! ecco la parola d’ordine, messere: s’essa non vi spaventa, siete un valentuomo.

Post. Se posso piacevolmente intrattenere la vista degli spettatori, avrò pagato il mio conto.

Carc. È un conto un po’ caro, bel giovine, mitigato però dalla certezza che non avrete più debiti da soddisfare, più contingenti da dare a’ tavernieri, gente che se da principio vi procura allegrezza, vi contrista poi di lì a poco; e presso i quali se entrate famelico, uscite briaco e vacillante; crucciato d’aver troppo speso, e d’averne ricevuto in compenso troppa merce; colla borsa ed il cervello egualmente vuoti: sebbene il cervello troppo grave a forza di esser leggiero, e la borsa troppo leggiera a forza d’avernela disgravata. Oh! in avvenire non vi saranno più simili contraddizioni per voi! la carità d’un obolo di corda vi libererà da mille debiti in un punto: questo è l’ultimo vostro scotto; e con esso