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atto terzo | 227 |
ridere al proprio biasimo?); oh! se ciò conosceste, giovani, allora... e di ciò io vi sono verace testimonio: il mio corpo è coperto di margini stampatevi dai brandi romani; e fu un dì, che la mia fama suonò illustre al pari di quella d’ogni altro capitano. Cimbelino mi amava; e ove occorresse discorso di valorosi guerrieri, il mio nome veniva tosto pronunziato. Era quello il tempo in cui l’albero vedeva i suoi rami incurvati sotto il peso de’ frutti: ma una notte tuonò la buféra; le saporose poma andarono peste e cincischiate; e nudato di fiori e di foglie rimase lo squallido tronco: — quell’albero son io.
Guid. Oh instabilità della fortuna!
Bel. E il fallo mio, come sovente vi ho detto, non fu che il delitto di due scellerati, i cui falsi giuramenti prevalsero sul mio onore mondo d’ogni rimprovero. Coloro affermarono con sacramento a Cimbelino, ch’io aderiva ai Romani: per questo venni bandito; e già da venti anni queste sole roccie e queste foreste sono per me l’universo: qui vissi onoratamente libero, e pôrsi al Cielo più grazie, che non in tutto il precedente corso della mia esistenza. — Ma questi non sono discorsi che si addicano ad un cacciatore: varchiamo correndo quelle montagne; e quegli che primo atterrerà la preda, sarà il re della festa; e gli altri due lo serviranno, esente dal timore di que’ veleni che ognora si apprestano ai potenti. Su, andate: io vi raggiungerò nella vallea. (Guiderio e Arvirago escono) Come difficile è il soffocare gl’istinti della natura! que’ due giovani non sanno d’esser figli di un re; e Cimbelino non crede ch’essi vivano ancora: allevati nell’oscurità di quella caverna, essi si credono figli miei; e nondimeno i loro pensieri si compiaciono fra le grandezze della terra: nelle più comuni e volgari operazioni la natura imprime nei loro lineamenti un non so che di regio, di gran lunga superiore ad ogni altrui artifizio. Quel Polidoro, erede di Cimbelino e della Brettagna, che suo padre chiamava Guiderio, oh Giove! quando seduto sul mio scanno io gli narro le guerresche imprese della mia gioventù, l’anima di lui mi si slancia incontro. Quando io dico: così cadde il mio nemico; così vincitore gli fui sopra coi piedi; il nobile suo sangue sale a incolorirgli le gote, il sudore gli bagna la fronte; e diversamente atteggiandosi, a seconda della mia narrazione, assume l’aspetto d’un magnanimo eroe. Nè il suo minor germano, Cawdal, altra volta Arvirago, dissente dal bellico ardore onde avvampa il fratello. — Ma odo che la loro caccia è già incominciata. — Oh Cimbelino! il Cielo e la mia coscienza sanno che m’hai ingiustamente bandito; e, in ricambio