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226 | cimbelino |
la buon’opera sovente è sconosciuta, e la iniqua frutta. Così meditando, vi troverete lieti del vostro stato, e conoscerete che la cicala vive non di rado in luogo più sicuro, che l’aquila rapace. Oh! la vita che noi qui conduciamo è più nobile assai di quella che si vive fra adulazioni e ripulse; più ricca di quella che si consuma in vane opere, per ricompense ancora più vane; più virtuosa della vita del cortigiano che fa pompa di dovizie accattate colla sua bassezza; no, non è vita paragonabile a questa nostra.
Guid. Voi parlate per esperienza; ma noi fanciulli, ignari a guisa d’augelletti che non per anco si sono staccati dal loro nido, noi non sappiamo qual aere si respiri lungi dal nostro asilo. Forse questa vita è la più felice per voi, se felicità e riposo sono a’ vostri occhi una medesima cosa: essa vi sembra forse la più dolce, perchè una più dura ne avete sperimentata; essa si addice fors’anco meglio alla gravità de’ vostri anni: ma per noi questo genere di esistenza è doloroso; questa è per noi una prigione d’ignoranza; e qui viviamo come colpevoli costretti dalla legge entro angusti confini.
Arv. Di che potrem noi parlare quando saremo invecchiati come voi siete? in che modo, allorchè raccolti nel fosco dicembre udremo la pioggia e i venti imperversare, in che modo, dico, standoci in quella squallida caverna, potremo alleviare, insieme favellando, le tarde ore del verno? Noi non abbiam veduto nulla; siamo simili agli animali privi di ragione; astuti come le volpi, avventati come i lupi, valorosi soltanto in perseguitare chi fugge; e, a similitudine d’un augello prigioniero nella sua gabbia, cantiamo cogli accenti degli uomini liberi la nostra schiavitù.
Bel. E potete così parlare? Ah! se note vi fossero soltanto le non mai sazie usure delle capitali, e ne aveste fatta voi stessi la trista prova; se conosceste gli artifizi delle corti, cui sì difficile è l’abbandonare, come difficile è il mantenervisi; e nelle quali l’istante medesimo, che in alto vi solleva, è pur quello che vi precipita; e dove la china è sì lubrica, che il timor del cadere è funesto quanto la stessa caduta: se ignari non foste delle fatiche della guerra, doloroso mestiere in cui si cerca sempre il pericolo in nome dell’onore; in cui questo istesso onore nel ricercarlo svanisce, e ottiene egualmente spesso in morte, come a monumento di gloria, un epitaffio denigratore (imperocchè quante volte non fu punito l’onore? quante nol furono le buone opere, quante volte non dovette l’ingiustamente oltraggiato sor-