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atto primo | 201 |
colo; e dopo il sopore, che le tien dietro, più vigorosa ritorna la vita. Ella è ingannata sulla natura di quel liquore; ed io, ingannandola, adopero onestamente.
Reg. Dottore, già vi dissi che più non ne occorre la vostra presenza; aspettate perciò che vi facciamo di nuovo chiamare.
Corn. Prendo umilmente licenza. (esce)
Reg. (a Pisanio) Essa dunque piange sempre? Credi tu che nel tempo la sua passione non si estinguerà, e che la ragione non subentrerà alla follia? Intendi a questo con le tue cure; e allorchè mi dirai che Imogène ama mio figlio, la mia risposta al tuo fausto annunzio sarà: Pisanio, tu se’ maggiore del tuo signore; imperocchè la fortuna di lui è sbattuta, la sua fama languente, nè più gli è dato di tornare alla corte, o di trovare onorevole esilio; e mutando cielo, non farà che mutare sventura. E quale speranza nudrisci tu, appoggiandoti a una colonna che vacilla, e che impossibile sarà di rialzare? (Pisanio prende l’ampolla lasciata dal dottore, e la esamina) Tu ignori che essenza sia cotesta; ricevila or dunque da me in compenso de’ tuoi servigi. È un cordiale ch’io composi, e che cinque volte salvò la vita al re; prendilo, e ti sia pegno dei favori che in avvenire ti serbo. Fa conoscere alla tua signora qual sia il presente suo stato; ma tieni modo, onde i tuoi consigli sembrino procedere soltanto da te: in tal maniera adoperando, la fortuna ti apre innanzi una bellissima via; la signora tua ti resta, e ti fai devoto e ricordevole di te il figliuol mio. Io poi indurrò il re ad innalzarti, sia qual si voglia la meta a cui agogni; e spenderò la vita retribuendoti de’ tuoi servigi, colmandoti di ogni sorta di beneficii. — Chiama le mie donzelle; e ricordati delle promesse che ti faccio. (Pisanio esce) Un astuto è costui, che indarno si cercherebbe corrompere; un vile agente del suo signore, che incessantemente esorta Imogène a serbar fede ad un proscritto: ma un dono gli ho largito, di cui se si vale, la terra gli mancherà sotto i piedi; come a lei pure mancherà, se non fa miglior senno. (rientra Pisanio colle Signore) Bene sta; a meraviglia adempiste il carico vostro: portate ora nella mia stanza quelle viole, quei verbaschi, quelle rose bianche. Addio, Pisanio; rammenta quello ch’io t’ho detto. (esce colle Signore)
Pis. Così farò; (a parte) ma, prima che divenire infedele al mio buon signore, vorrei soffocarmi colle mie mani. (esce)