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atto primo 195


Lord. (a parte) Così non desidero io; perocchè vana sarebbe stata la caduta d’un animale tuo pari.

Clot. Verrete con noi?

Lord. Seguirò Vossignoria.

Clot. No; tutti insieme.

Lord. Bene sta, milord.                                   (escono)

SCENA IV.

Una stanza nel palazzo di Cimbelino.

Entrano Imogène e Pisanio.

Imog. Vorrei che tu fossi seduto alla riva del porto, e là interrogassi continuamente ogni vascello che approda. Se il mio sposo mi scrivesse, e la sua lettera andasse smarrita, questa perdita per me sarebbe uguale a quella del colpevole a cui viene trafugata la sua lettera di grazia. Quali furono le sue ultime parole?

Pis. Mia regina! mia regina!

Imog. E sventolava il drappo?

Pis. E lo baciava, signora.

Imog. Insensibile drappo, ben più fortunato di me! Nè disse altro?

Pis. Altro, e solo, finchè i miei occhi poterono discernerlo, io lo vidi sul ponte della nave accennarmi, ora colla mano, ora colla pezzuola, quanto la sua anima fosse lenta, e rapida la nave che lo allontanava da voi.

Imog. Avresti dovuto seguirlo coll’occhio, finchè ti fosse sembrato piccolo come un augelletto.

Pis. Questo feci, signora.

Imog. Ah! io avrei voluto insanguinarmi le pupille, sforzandomi di vederlo tanto che per la lontananza mi fosse apparso come un atomo: sì, i miei sguardi lo avrebbero seguitato finchè, dalla grossezza d’un insetto impercettibile, ei fosse del tutto svanito nell’aria; e allora ne avrei distolti gli occhi per piangere... — Ma, buon Pisanio, quando avremo sue novelle?

Pis. Siatene sicura, signora; alla prima occasione che gli si parerà da ciò.

Imog. Io non gli ho dato l’ultimo addio, chè troppo dolci cose mi restavano a dirgli: prima che gli avessi potuto esporre, come in certe ore del giorno avrei pensato a lui, di quali pensieri, di quali ricordanze mi sarei beata; prima che gli avessi fatto giu-