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atto quinto 177

Volsci; tu chiudesti l’orecchio alle preghiere dei Romani; tu alcuna conferenza segreta non avesti neppur co’ tuoi intimi, che venivano per placarti.

Marz. L’ultimo di essi, quel vecchiardo che respinsi tanto afflitto, mi amò più teneramente, che non ama un padre il figlio suo; come suo Dio mi amò. Ultima speranza era in essi l’inviarmelo; e per amore di lui, in onta della durezza che gli ho mostrata, offersi loro anche una volta le prime condizioni. Tu sai che sono state rifiutate, ed ora non possono più accettarle. Unicamente adunque per non ricusar tutto a quel vecchio, che sperava ottener molto di più, le offersi, e ben poco accordai. Nuove deputazioni, nuove suppliche, nè per parte dello Stato, nè per quella de’ miei amici, non accoglierò più adesso. — Che è questo rumore? (grida al di dentro) Dovrò infrangere il mio voto nel momento stesso che l’ho pronunciato? Nol voglio... (entrano in gramaglie Virgilia, Volunnia conducente il figlio di Marzio, Valeria e seguito) Mia moglie innanzi a tutte; poi la veneranda madre, il cui seno mi nutrì, e il fanciullo mio!... Ah! lungi da me, tenerezza! rompansi tutti i vincoli di natura! mia virtù sola sia l’essere inflessibile! Quanto santo è questo passo di una madre! qua! potenza è negli sguardi di quella tenera colomba, valevole, non che altro, a rendere spergiuri gli Dei! M’intenerisco, e non mi sento composto di un’argilla più dura di quella degli altri uomini! Mia madre s’inginocchia a me come all’Olimpo, e il mio fanciullo ha un volto supplichevole, su cui pare che la natura abbia scritto; Non mel negare! — Scorra l’aratro e l’erpice dei Volsci sulle ruine di Roma e dell’intera Italia, non sarò tanto stolto da obbedire ad un cieco istinto. Io mi starò insensibile come se l’uomo fosse il solo autore della propria vita, e non conoscesse parenti.

Virg. Mio signore, mio sposo!

Marz. Non vi veggo più con quegli occhi con cui vi vedeva in Roma.

Virg. È il dolore, che ci ha tanto trasmutate, che vel fa credere.

Marz. Come stupido attore, ho già obbliata la mia parte; e mi sto confuso, ed in procinto di caduta. Ah tu, la più cara metà di me stesso, compatisci alla mia tirannia; ma non dirmi ch’io perdoni ai Romani. Dammi un solo bacio, che duri quanto il mio esilio; che sia dolce quanto mi è dolce la vendetta. Per la gelosa regina del cielo, quel bacio che mi desti partendo, puro e vergine l’ho conservato sempre sulle labbra. — Oh Dei! io mi dif-