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atto quinto | 175 |
pure allora passereste; no, quand’anche fosse così virtuoso il mentire, come lo è l’esser veritiero. Indietro.
Men. Ricordati, amico, che il mio nome è Menenio, fido compagno del tuo generale.
2a Sc. Per quanto mendace vi siate stato lodandolo, come diceste, io son tale che vi dirò il vero per suo ordine, e di qui non passerete. Ricalcate le vostre orme.
Men. Ha egli desinato? me lo potete dire? perocchè non vo’ parlargli che dopo il pranzo.
1a Sc. Voi siete un Romano, diceste?
Men. Lo sono, come il tuo generale.
1a Sc. Dovete dunque odiar Roma, com’ei l’odia. Ora potete voi, dopo aver cacciato dalle vostre porte l’uomo che le aveva tante volte difese, e mandato ai vostri nemici la vostra egida tutelare; potete, dico, sperare di arrestar la sua vendetta con vani gemiti di femminuccia, con mani supplichevoli, o coll’impotente intercessione di cianciatori decrepiti, quali voi siete? Credete forse che il vostro debole soffio varrà ad estinguer le fiamme che minacciano la vostra città? No, errate; perciò riedetevene a Roma, e apparecchiatevi a subir la vostra sentenza: siete condannati; il generale lo giurò, e non vi è più nè perdono, nè speranza per voi.
Men. Soldato, sai tu che se il tuo generale mi sapesse qui, mi userebbe ogni onore?
1a Sc. Il generale non si cura di voi. Ritiratevi, dico, se non volete vedere spargere il poco sangue che vi rimane nelle vene. Indietro.
Men. Soldato, soldato... (entrano Coriolano e Aufidio)
Marz. Onde il tumulto?
Men. Ora (alla scolta) t’accomanderò al duce, e vedrai qual conto si faccia di me; e vedrai se un villano gregario può impedirmi l’accesso al mio Marzio che amo come un figliuolo. Trema, sciagurato! Gli Dei ragunati a tutte le ore s’occupino incessantemente della tua felicità (verso Marzio), e t’amino quanto t’ama il tuo vecchio padre Menenio! Oh figlio mio, mio figlio! tu prepari le fiamme per noi! Vedi le mie lagrime, ed estinguano esse la tua collera. Convenne molto pregarmi, molto crucciarmi, perchè io venissi a te; ma certi eravamo che null’altri che io poteva piegarti; e spinto fui fuor delle porte di Roma da preci e sospiri. Ti scongiuro di perdonare alla patria, e a’ tuoi concittadini supplichevoli. Gli Dei propizi calmino il tuo furore, o lo facciano cadere soltanto sopra costui (indicando la scolta), che, come