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atto quarto | 167 |
Men. No; nulla ne so; sua madre e sua moglie non hanno di lui alcuna novella. (entrano tre o quattro Cittadini)
Citt. Gli Dei vi salvino! (ai Tribuni)
Sic. Buon dì, cittadini.
Br. Salvete tutti, amici.
1° Citt. Noi, le nostre mogli e i nostri figli, dobbiamo indirizzar genuflessi preghiere al Cielo per voi.
Sic. Vivete e prosperate!
Br. Addio, onesti cittadini. Avremmo desiderato che Coriolano vi amasse, come noi vi amiamo.
Citt. Gli Dei veglino su di voi!
I due Tribuni. Addio, addio. (i Citt. escono)
Sic. Questo tempo è più bello, più felice per noi, che non lo era quello in cui coloro correvano per le vie mandando grida sediziose.
Br. Caio Marzio era un buon generale in guerra, ma insolente, protervo, ambizioso oltre ogni credere; non amava che sè...
Sic. E aspirava a regnar solo, senza consiglio.
Men. Non credo così.
Sic. Ne avremmo fatta, per nostra grande sventura, la trista sperienza, se fosse divenuto console.
Br. Gli Dei prevennero fortunatamente tal pericolo, e Roma è in pace e in sicurezza senza di lui. (entra un Edile)
Ed. Degni Tribuni, uno schiavo fatto da noi porre prigione recava che i Volsci con due eserciti separati erano entrati nel territorio di Roma, esercitandovi tutti i furori della guerra, e struggendo quanto s’opponeva al loro passaggio.
Men. È Aufidio, che avendo saputo il bando del nostro Marzio, osa rialzare il capo: quando Marzio stava qui, ei non ardiva muovere dal suo nascondiglio.
Sic. Che dite di Marzio?
Br. (all’Edile) Ite, e fate frustar lo schiavo: non può essere che i Volsci ardiscano romper la pace.
Men. Ciò non è possibile? Ben potremmo ricordarci come ciò sia possibile; e nel lasso della mia vita ne ho veduto tre volte l’esempio. Ma almeno interrogate colui, prima di punirlo: chiedetegli come seppe tal novella, nè vi esponete a soffocar la voce salutare che vi ammonisce, e a percuotere il nuncio che viene ad avvertirvi del pericolo che vi minaccia.
Sic. Non me ne dite altro; sono certo che ciò è impossibile.
Br. Essere non puote. (entra un Messaggiero)