Pagina:Rusconi - Teatro completo di Shakspeare, 1858, I-II.djvu/553

166 coriolano


Dom. Bene sta: rivedremo dunque il mondo sconvolto! Questa pace non è buona che ad irrugginire il ferro, arricchire l’artiere, e nutrire il giullare.

Dom. Io pur dico: guerra, guerra. Essa supera tanto la pace, quanto il giorno la notte. Viva è, vigilante, sonora e piena d’operosità e di turbamenti. La pace, al contrario, è cosa letargica, muta, assopita, insensibile, che fa più bastardi, che la guerra non distrugga uomini.

Dom. Ben dicesti; e se la guerra è consumatrice di mortali, la pace è gran produttrice di sposi traditi1.

Dom. Sì, e fa che gli uomini s’odiino.

Dom. La ragione è, perchè allora sentono meno il bisogno l’uno dell’altro. La guerra mi darà danaro. Spero di vedere i Romani a così buon prezzo, quanto per essi lo furono i Volsci. Sorgono dal desco! sorgono dal desco!

Tutti. Dentro, dentro, dentro!                                   (escono)

SCENA VI.

Roma. — Una piazza.

Entrano Sicinio e Bruto.

Sic. Più non udiamo parlar di lui, e più non dobbiamo temerlo. I mezzi suoi son tutti cessati, e stanno sepolti in questa pace del popolo, dianzi così fieramente conturbato. I suoi amici arrossiscono ora di vedere che tutto va egregiamente senza di Marzio. Colui meglio amava, quantunque anche i clienti ne soffrissero, di mirare le tribù del popolo ammutinate infestar le vie di Roma, che udire i nostri artieri cantare giovialmente nelle loro officinie, attendendo con quiete alle loro bisogne.

(entra Menenio)

Br. Ben facemmo a resistere. Non è quegli Menenio?

Sic. È lui, è lui; ed è divenuto assai cortese da poco in qua. — Salute, signore.

Men. Salute a voi entrambi.

Sic. La mancanza del vostro Coriolano, signore, non è molto sentita, fuorchè da’ suoi amici: la Repubblica vive, lo vedete, e continuerà ad esistere, in onta di tutta la sua collera.

Men. Bene sta; e potrebb’essere stato meglio s’egli avesse saputo temporeggiare.

Sic. Dov’è? lo sapete?

  1. Cuckolds.