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atto quarto 161


Citt. Questa innanzi a voi.

Marz. Vi ringrazio; addio. (il Cit. esce) Oh mondo, ecco i tuoi rivolgimenti! Due amici che si son giurata fede inviolabile; che sembrano non aver in due che un cuor solo; che insieme passano tutte le ore della vita, dividono il medesimo letto, la medesima mensa, le stesse fatiche; che sono, a dir così, due gemelli inseparabilmente attaccati l’uno all’altro dal nodo dell’amicizia; in un momento, per una parola, per la più lieve contesa, vengono a litigio, e trascorrono all’odio più mortale. Così due avversari infelloniti, il di cui cruccio li turbava fin nei sonni della notte, che mulinavano tuttodì per distruggersi l’un l’altro, per una strana ventura diverranno amici teneri, e accomuneranno i loro destini. Tale è la mia storia. Ho abbandonato il mio luogo natìo, e tutti quelli che mi amavano, ed entro nella città del mio nemico. S’ei mi fa morire, renderà giustizia a se medesimo; se mi lascia seguir la mia strada, io servirò la sua patria. (esce)

SCENA V.

Una sala nella casa di Aufidio.

Musica al di dentro. Viene un domestico.

Dom. Vino, vino, vino! Che si fa qui? credo che tutti siano addormentati! (esce; ed entra un altro domestico)

Dom. Dov’è Coto? Il mio signore lo chiama. Coto!

(esce; ed entra Coriolano)

Marz. Bella casa! Il festino sembra splendido; ma io non ne paio un ospite.     (rientra il primo domestico)

Dom. Che volete, amico? Di dove siete? Qui non è posto per voi. Pregovi ad uscire.

Marz. Nulla merito di meglio (a parte) essendo Coriolano.

(rientra il secondo domestico)

Dom. Di dove siete, signore? Il portiere aveva gli occhi in testa allorchè dava accesso a simili convitati? Pregovi, itene.

Marz. Esci.

Dom. Ch’io esca? Voi uscite.

Marz. Ora mi ti fai uggioso.     (minacciandolo)

Dom. Siete da tanto? Vi farò parlare col mio signore.

(entra un terzo domestico)

Dom. Chi è costui?

Dom. L’uomo più strano ch’io abbia veduto. Io nol posso cacciar di casa. Pregoti, fa venire il signor nostro.